Una ricerca infinita 7 – Indagine sulle Belle Parole –

Una ricerca infinita. 

Cap. 7 – INDAGINE SULLE “BELLE PAROLE”, E ALTRO.

Nella mia avventura spirituale, dopo avere tanto indagato, letto migliaia di pagine nei libri, analizzato con attenzione, con metodo, anche con una certa emozione, dopo ore di dialoghi con amici, sono arrivato a pensare di avere raggiunto dei risultati.

Oppure, per non illudermi, un risultato almeno: quello di essere sulla strada giusta. L’avventura spirituale è iniziata con le conoscenze, la comprensione e con un’infinità di tante belle parole.

Con Belle Parole si parla di amore, di fraternità, di Dio, conosci te stesso, siamo tutti fratelli, vi voglio bene, ti voglio bene. Quante “Belle Parole”!

Sempre, i poeti, gli scrittori, i politici, i religiosi, per poter meglio rappresentare il loro pensiero, per poter esaltare i loro scritti, li hanno riempiti di belle parole: per dare emozioni, raccontare sentimenti, affascinare e convincere i lettori, descrivere gioie e dolori, amori e guerre, nascite e morti, hanno usato tante belle parole.

Ecco, oggi è mia intenzione dare un significato, una risposta ad un dubbio che si è formato nella mia mente: perché si usano con così tanta frequenza tutte queste belle parole? Corrispondono alla realtà di tutti i giorni, o all’intenzione di colui che parla?

Rappresentano veramente i nostri pensieri? No! Perché nessuno dice come stanno le cose nella loro realtà. La Democrazia è la panacea per tutti i mali del potere? Certamente no! La politica è l’arte del compromesso intelligente? Ancora una volta no! no! Le religioni portano la voce di Dio e la salvezza dell’anima? No, No, No!

Questo dubbio è diventato dentro di me come un tarlo. Per questo ho iniziato ad ascoltarmi, ma i risultati non erano soddisfacenti, qualcosa mi rodeva dentro senza capire il perché di questa mia insoddisfazione.

Provai quindi ad allargare l’indagine. Sentendo parlare il prossimo, è più facile trovare gli errori negli altri, decisi di fare delle classificazioni per vedere se riuscivo ad arrivare a chiarirmi quel dubbio.

Trovai sfumature per associare le Belle Parole alla vanità, alla indifferenza, all’ipocrisia, alla cattiveria, alla paura, al politicamente corretto, allo scarica barile. Cos’erano quindi questi fatti?

Sono forse una mascherata, una rappresentazione effimera di una presunta realtà, il desiderio di raccontarsi attraverso un fumoso frasario farcito di belle parole per atteggiarsi, per distinguersi, per qualificarsi, per attirare l’attenzione.

Il quadro si allargava e allo stesso tempo si formava come un puzzle gigantesco. Un pensiero prendeva il sopravvento: quale era il motivo scatenante di questo fiume, di questa pioggia, di Belle Parole?

Sotto a quale ombrello si riparavano, forse a quello dell’ipocrisia? Ebbene sì: in questa rappresentazione vedevo ad ogni modo solo la punta di un Iceberg. Ma allora, se è così che stanno le cose, le belle parole sono come le polpette avvelenate (bugie).

Infatti, dal nostro subconscio parte una direttrice che come una tangente attraversa i nostri pensieri e condiziona le nostre azioni: è la paura (di vivere o di morire?), ed è la principale causa scatenante.

Si deve quindi fare i conti con l’uomo nella sua essenza materiale per capire per quale motivo è per lui un’abitudine usare con frequenza le ormai famose: “Belle Parole”. Ma sono solo il frutto dell’ipocrisia? No! C’è molto altro.

Anche in questo caso esiste una seconda faccia della medaglia; come esiste il bello e il brutto, il buono e il cattivo, così esiste il contrario dell’ipocrisia (falsità, simulazione): la sincerità (semplicità, genuinità).

Vi racconto una storia che ho letto in un libro da me arrangiata e allungata: si svolge a Lhasa, nel Tibet, palazzo del Potala, sede del Dalai Lama. Anno 1260 d.C.

La via dell’Illuminazione.

Al monaco di guardia del palazzo si presentò un giovane di 24 anni della società altolocata di Lhasa. Figlio di prestigiosi genitori, di bella presenza, studioso, volenteroso, con prospettive ambiziose sul suo futuro.

Chiese che gli venisse concessa un’udienza dal Dalai Lama. Non aveva un appuntamento, ma a lui non importava, pensava gli fosse dovuto. Il monaco andò a informarsi, ritornato gli disse di accomodarsi nel salottino lì a fianco.

Passarono alcuni minuti, poi entrò il Dalai Lama. Gli chiese se desiderava un the e dei pasticcini. Il giovane fremeva per l’impazienza ma accettò di buon grado.

Seduti sui cuscini, e mentre sorseggiano il the, il Lama gli chiese il motivo della visita. Il giovane si fece baldanzoso e parlò così: -Maestro, rivolgo una preghiera alla tua sapienza. Vorrei che m’insegnassi la via dell’illuminazione-.

Sentito questo il Dalai Lamo appoggiò la tazza del the sul tavolino basso, si mise nella posizione del Loto, chiuse gli occhi e non si mosse più.

Il giovane sapeva che questa è una delle posizioni per la meditazione. Posò la tazza sul tavolino senza fare rumore e aspettò in religioso silenzio.

Dopo un po’ si fece impaziente. Si mosse sulla seduta, si guardò attorno, ma il Lama non batteva ciglio. Passarono ancora diversi minuti. Allora il giovane chiese: -Maestro, non mi rispondi? –  

Il Dalai Lama aprì gli occhi, guardò il giovane e poi finalmente parlò: – A volte il silenzio vale più di tante parole. Ma te lo dirò così come sono capace. Poi, sta a te intendere.

Molti sono coloro che l’hanno cercata prima di te, e in tutti i modi possibili. Non l’hanno trovata, e sono ritornati sconfitti. Ti indicherò una strada.                                                                   

Quando incontri il tuo prossimo, usa con loro la compassione. Anche nei tuoi riguardi usa la compassione. Molta compassione. –

(liberamente tratto da: Gli Anni del Riso e del Sale – autore Kim Stanley Robinson – editore Newton Compton Editori – romanzo).

E qui finisce il dialogo fra il Dalai Lama e il giovane, e questo è ciò che ho letto nel libro e liberamente scritto. Continuo il racconto aggiungendo del mio.

Il giovane uscì dal palazzo insoddisfatto percorrendo il lungo corridoio a testa bassa e a lunghi passi. Il monaco di guardia lo sentì arrivare, gli si avvicinò e gli chiese se tutto andava bene.

Sapeva che il giovane era stato a colloquio dal Dalai Lama e trovò strano quel comportamento da arrabbiato, con il viso quasi stravolto dalla rabbia.

Il giovane gli rispose che stava bene ma con quel tono sprezzante di chi pensa: “Ma che vuole costui da me! Questo monaco cencioso, e di basso rango, non è capace di farsi gli affari suoi?

Il monaco si fermò, congiunse le mani nel saluto tradizionale, e con queste parole si congedò dal giovane: “Che la pace sia con te mio giovane amico. Ma ricorda, non c’è una via per la pace, la pace è la via”. (monaco Zen)

Sentendo quelle parole il giovane si fermò e guardò il monaco. Ma lui era già lontano, ne vedeva solo la schiena mentre si allontanava. Quelle parole lo indussero a riflettere. Cosa significava: la pace è la via.

Un rapido pensiero attraversò la sua mente: “Perché devo arrabbiarmi con chi cerca di aiutarmi? Non è giusto. Che problema ho?”.

Prese una decisione importante: “Cercherò nelle altre religioni una risposta che sia più semplice, e facile da capire”. Iniziò così il suo viaggio.

India, qualche mese dopo. Si stava recando da uno dei più famosi Bramini della città di Delhi, la capitale di quei tempi. Arrivato al tempio, si fece annunciare al Bramino dal suo servitore: “Maestro, vengo da te dal lontano Tibet per chiederti di indicarmi la via della salvezza”.

Il Maestro osservò il suo interlocutore e poi gli disse: “La via della salvezza è all’interno dei libri sacri: i Veda. Essi prevedono tolleranza verso chi ha una religione diversa dalla tua. Accettazione dell’esistenza, anche se essa è divisa in periodi come la vita, la crescita, e la morte”.

Il giovane uscì dall’udienza con il Bramino esterrefatto. Possibile che la più grande religione del mondo di allora non avesse una soluzione per la salvezza dell’anima? A chi dunque doveva rivolgersi per avere una risposta alla sua domanda?

Gli venne alla mente che in Israele era vissuto un profeta, così si diceva, di cui si parlava tanto e adorato nelle chiese dell’occidente, Ma in quei tempi c’erano guerre ovunque. Pirati che assaltavano le navi. Briganti che derubavano i viandanti.

Decise di acquistare una spada e un grosso pugnale per difendersi. Mentre stava per montare a cavallo con le sue armi luccicanti, vide seduto a terra un uomo in male arnese. Vestito di stracci, sporco, magrissimo, e puzzolente.

Chi è quell’uomo”, chiese al servitore che gli teneva il cavallo. “È un poveraccio. Fa giochi, predice il futuro, cura malattie, dice lui. Ma fa parte degli intoccabili gioca a fare il fachiro ma non lo è. Stai lontano da lui”.

Il giovane si mise la spada a tracolla, il pugnale nella cintura e salì sul cavallo. “Dove vai ragazzo così armato? Vai forse alla guerra? Non conosci la regola d’oro?”. Gli chiese il fachiro.

Lui arrestò il suo cavallo e andò vicino al mendicante. “No, non la conosco”. “Strano, mi sembri uno che ha studiato, e che sta girando il mondo”. Il giovane chiese all’uomo: “Se mi dici di cosa si tratta, ti darò una moneta d’argento”.

“Io ho parlato di oro, sei dunque così tirchio? Non ti dirò di cosa si tratta, ma per una moneta d’argento ti racconterò una storia. Ma prima dammi la moneta”.

Fachiro indiano.

“Non ti fidi di me?”, chiese il giovane arrabbiandosi. “Io mi fido di te, ma sei tu che non ti fidi di te stesso”. Ricevuta la moneta, il mendicante si alzò, invito il giovane a scendere da cavallo e di sedersi di fronte a lui. “Ecco la storia”.

La divinità dell’uomo.

Una vecchia leggenda indù racconta che vi fu un tempo, in cui tutti gli uomini erano Dei. Essi però abusarono talmente della loro divinità, che Brahma, signore degli Dei, decise di privarli del potere Divino e nasconderlo in un posto dove fosse impossibile trovarlo.

Il grande problema fu dunque quello di trovare un nascondiglio. Quando gli Dei minori furono riuniti a consiglio per risolvere questo dilemma, essi proposero la cosa seguente: “Seppelliamo la Divinità dell’uomo nella profondità della terra”. Brahma tuttavia rispose: “No, non basta. Perché l’uomo scaverà e la ritroverà”.

Gli dei allora replicarono: “In tal caso gettiamo la Divinità nel più profondo degli oceani”. E di nuovo Brahma disse loro: “No, perché prima o poi l’uomo esplorerà le cavità di tutti gli oceani e sicuramente un giorno la ritroverà e la riporterà in superficie”.

Allora gli dei minori conclusero: “Non sappiamo dove nasconderla, perché non sembra esistere sulla terra luogo che l’uomo non possa una volta raggiungere”.

E fu così che Brahma disse. “Ecco ciò che faremo della Divinità dell’uomo: la nasconderemo nel suo Io più profondo e segreto, perché, è il solo posto dove non gli verrà mai in mente di cercarla”.

A partire da quel tempo, conclude la leggenda, l’uomo ha compiuto il periplo della terra, ha esplorato, scalato montagne, scavato la terra, si è immerso nei mari, alla ricerca di qualcosa che si trova dentro di lui.

Scritto da Eric Butterworth dal testo “Scopri la potenza dentro di te”.

http://www.formare.it/achi/se66.htm

Atene, Grecia. Il giovane tibetano si avviò per entrare nella scuola di filosofia per parlare con il rettore. Entrato nel suo ufficio espose il motivo della sua visita.

Le informazioni che aveva sconsigliavano di avventurarsi nei paesi occidentali per parlare di religione. In Israele era in vigore la legge “Occhio per Occhio”, a Roma, la chiesa Cattolica aveva imposto da secoli l’Inquisizione”, nei paesi arabi l’Islam aveva inserito la Sharjah fra le sue leggi religiose.

Era troppo facile essere scambiati per eretici, indemoniati, oppure spie ed essere lapidati, bruciati al rogo, o impiccati. E poi lui aveva tratti mongolici nel viso che non poteva camuffare. Gli stranieri, in quei paesi, non erano ben accetti.

“Professore”, esordì il giovane, “sono alla ricerca di una via per la salvezza della mia anima. Ho sentito parlare di Gesù come di un profeta illuminato, ma è stato crocefisso come si faceva con i malfattori. Che devo fare. Ha qualche libro che parla di lui da consigliarmi?”.

 “Certo, la nostra biblioteca è ben fornita. Ti scriverò alcuni titoli. Ma prima vorrei raccontarti una storia”.

Il tempo

“Immagino che fra i tuoi studi ci siano anche quelli filosofici. Voi orientali siete famosi per la vostra filosofia che noi chiamiamo: – Romantica, o del Buon Senso” -. Noi greci invece abbiamo una filosofia chiamata:” – Razionale, o amante della verità -”. La storia che ti voglio raccontare ti sarà di chiarimento.

Fra i nostri tanti filosofi, uno si è distinto per una sua intuizione sul tempo: Plotino. -È necessario, dunque, che le cose siano tutte l’una dopo l’altra, e sempre-“.

L’esempio che ti verrà in mente sarà quello delle stagioni: le cose sono una dopo l’altra e sempre. Questa è una intuizione che non è né circolare, né rettilinea del tempo.

È in senso assoluto nessuna di queste due concezioni, ma è semplicemente la formula che interpreta nel modo migliore la visione classica del mondo.

Contributo di: http://www.padrebergamaschi.eu/PBcom/indicesitoprec.html

Plotino si era fatto discepolo di Platone, ma secondo noi, con il senno del poi, manca a questa sua affermazione la risposta alla domanda: allora com’è il tempo? Ne abbiamo fatto oggetto di una ricerca con i nostri allievi e con gli insegnanti.

Il risultato a cui siamo giunti è questo: -Per fare sì che tutto sia in linea con l’intuizione di Plotino, noi pensiamo che il tempo, nel mondo filosofico, sia a Spirale.

Immagina una spirale che sale, la sua base sarà all’inizio molto larga, e alla fine sarà molto stretta, forse a punta. In verità ci siamo fatti aiutare da un detto di Eraclito: – Non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume -.

Con la spirale le cose saranno sempre una dopo l’altra e a differenza di quello circolare, che vuole dire che le cose si ripetono, non saranno mai uguali a quelle di prima. Forse simili, ma uguali mai. Lassù, nell’infinito, il nostro tempo non esiste

Nel frattempo era entrato nella stanza un inserviente con alcuni pesanti libri nelle mani. Li appoggiò faticosamente per terra e se ne andò. Il rettore, indicandoli, disse al giovane: “- Questo è un mio piccolo regalo per te, mio giovane amico. Giù, nell’aula magna è in corso una lezione su passi dei vangeli apocrifi in nostro possesso. Se vuoi ascoltare ti faccio accompagnare in aula” -.

L’aula magna era un piccolo anfiteatro semicircolare a gradoni di granito. Affollata fino alla sommità da un numero imprecisato di persone, perlopiù studenti, ma anche ascoltatori. Il giovane venne presentato all’aula e fatto sedere in prossimità della cattedra realizzata con lastre di marmo. Posto riservato alle persone di riguardo.

Nicodemo al processo di Gesù.

Il relatore, rivolgendosi all’ospite, disse: “-Prima di continuare il nostro dibattito desidero informare il nostro ospite che stiamo parlando del processo a Gesù. Lei ha letto di queste cose? -.

No! Rispose il giovane. È la prima volta che sento parlare. – L’insegnante fece una piccola pausa e poi riprese: -Siamo all’interno del pretorio, davanti all’imputato il governatore Pilato. Le testimonianze erano in disaccordo fra loro. Fuori una folla rumorosa gridava: crocifiggilo, crocifiggilo. Ma Pilato tentennava.

Fra i presenti si fece avanti Nicodemo, e chiedendo la parola, disse: -Fratelli, ascoltate: abbiamo lungamente discusso riguardo a quest’uomo nella Sinagoga fra noi anziani, con i Sacerdoti, e alla presenza di tutta l’assemblea del Sinedrio.

Io chiesi loro: Quali accuse muovete contro quest’uomo per volerne la morte? Egli ha percorso le strade delle nostre città operando molti miracoli.

Le gesta dei suoi prodigi hanno varcato i confini della nazione. Nessuno dei nostri padri, e nessuno dei nostri figli, ha mai fatto quello che ha fatto lui e mai lo farà.

Lasciamolo andare per la sua strada, dissi io, e non decidiamo alcunché a suo riguardo per non far ricadere su di noi il suo sangue.

Se quello che fa viene da Dio, rimarrà, e noi non avremo assunto debiti con il Padre; se invece i suoi “prodigi” sono frutto d’inganno d’uomini, penserà il tempo a distruggerli-.  

(da – I Vangeli Apocrifi – Vangelo di Nicodemo – autore M. Craveri – edizioni Einaudi)

Era ora della partenza. Il giovane aveva deciso di ritornare nel suo paese. Portava con sé due sacche di pesanti libri: filosofia e religioni. Chiese al suo servo di andare a prendere i cavalli, lui avrebbe atteso nella piazza al centro della città.

Non era un orario di punta, ma nella piazza persone indaffarate si muovevano in tutte le direzioni. Qua e là, capannelli di gente discutevano di affari, politica, e altro che non capiva per la lontananza da loro.

La lingua greca, allora, era una lingua franca, e lui ne aveva studiato le basi in Tibet, e se non parlavano velocemente, riusciva a capire ciò che dicevano.

Un vecchio, appoggiato a un bastone, camminava piano verso il centro della piazza. Alcune persone, vedendolo arrivare, gli andarono incontro chiamandolo maestro. Velocemente attorno a lui si riunì un capannello di persone.

Incuriosito si avvicinò anche lui. Chi era mai quel vecchio, male in arnese, malamente vestito, che le persone chiamavano maestro?

So di non sapere.

Chiese a una persona li vicino chi fosse: “È un predicatore errante. Non ne conosciamo il nome. Passa da qui una volta o due all’anno. Un rituale che si ripete da così tanto tempo che ne abbiamo perso memoria”.

“E di cosa parla”, chiese il giovane. “Dice tante cose. Ci parla del mondo attorno a noi. Sa di filosofia, matematica, astronomia. Delle religioni non ne parla volentieri. Risponde a domande, e non vuole la carità. È molto intelligente”.

A quelle parole il vecchio maestro prese la parola e disse: “Intelligente dici? Magari fosse vero, ne sarei felice. Sono nella vostra terra, e la prima cosa che mi viene alla mente è Socrate. Vi ricordate voi di Socrate?”.

Un brusio si levò dalla piccola folla. E chi non si ricordava di Socrate. Ma tutti si chiedevano a cosa alludesse con queste parole il maestro. Il giovane prese la parola: “Io non sono di queste parti, puoi dirci a cosa alludi con la tua domanda?”.

L’anziano guardò negli occhi il giovane e poi disse: “Si vede che non sei un greco. Anche tu sei alla ricerca di qualcosa, ma non sai di cosa si tratta. A volte, un eccesso di cultura porta più confusione che chiarezza”, gli disse il vecchio indicando le due borse piene di libri posate ai piedi del giovane.

 “Allora dimmi, cosa devo fare. Li butto, li brucio, li lascio a chi me li ha donati?”. Disse il giovane con un tono sprezzante e di superiorità. “No, certo che no. La conoscenza è preziosa per tutti, ma va assimilata con precisione e attenzione”.

Tempio dell’oracolo di Delfi. – La Pizia –

“Parlavamo di Socrate, ti racconterò una storia del passato. Sedetevi tutti su quei gradini. Un giorno di tanti anni fa, in Atene si era diffusa una voce che diceva che Socrate fosse, secondo la Pizia (l’oracolo di Delfi), il più intelligente in Atene.

Questa voce si era diffusa perché un giovane studente si era presentato da lei e aveva fatto la domanda: chi è il più intelligente in Atene? L’oracolo gli rispose: è Socrate, mentre il giovane sperava che dicesse che era lui il più intelligente.

Socrate si meravigliò di questo responso dell’oracolo al punto che meditò a lungo per scoprire perché avesse detto questo.

Dopo alcuni giorni, si presentò nell’Agorà (la piazza centrale della città), radunò attorno a sé molte persone e disse loro: – Ho capito perché l’oracolo ha detto che io sono il più intelligente: “Perché so di non sapere” -.

Nel frattempo, il suo servo arrivò con i cavalli. Il giovane tibetano salutò l’anziano, i presenti, e si avviò alla sua cavalcatura con le borse dei libri sulle spalle. Appena fuori dalla città, una giovane ragazza sulla strada lo fermò.

Ragazzo dove vai così di fretta. Non vuoi divertirti un po’ con me”. Non si aspettava di trovare una giovane prostituta così sfacciata che si offriva a lui senza pudore. La giovane si era avvicinata e teneva il cavallo per le briglie.

In evidente difficoltà, quasi balbettando, il giovane rispose: “No, non voglio nulla da te”. “Non sono abbastanza bella per te, io sono pulita e profumata!”. “Non è per questo, da noi non abbiamo donne come te, e io non sono abituato a questi commerci”.

“Forse tu non sai che tutto il mondo è paese. Oppure è la tua prima volta. Se è così ti ci vuole una maestra. Vieni a casa mia, e io ti insegnerò”.

“Nella nostra filosofia c’è un detto: – Quando l’allievo apre la porta, appare il maestro -. Oggi io non aprirò la mia porta, e nemmeno la tua”. Il giovane prese dalla borsa alcune monete d’oro e le porse alla donna. Lei, meravigliata, gli chiese il perché?

Lui le rispose: “Perché mi hai aiutato a capire alcune cose, come fanno i maestri”. “Io non sono abituata a ricevere senza dare. Anche tu mi hai elargito un insegnamento. Permettimi di ringraziarti nell’unico modo che conosco”.

La ragazza invitò il giovane a chinarsi e gli diede un caloroso bacio sulla guancia, poi gli chiese il suo nome: “Glosbe, in tibetano significa Sole”.

“Fengàri, il mio nome in greco significa Luna”. Non si rividero mai più di persona. Ma io mi auguro che, i due giovani, nei loro sogni, ogni tanto, s’incontrino.

Ora mi rendo conto della vastità dell’argomento delle Belle Parole e della sua spigolosità, in quanto tocca l’uomo nel suo complesso di Spirito e Materia.

Ammettere che ci sia ipocrisia nei miei pensieri, e nelle mie azioni è doloroso, andare a cercarla nei recessi del mio subconscio per paura di trovarla, è triste, ammetterlo anche solo a me stesso, è amaro,

Eppure, questa ricerca è necessaria per fare un po’ di pulizia, togliere la polvere dai nostri pensieri e dalle nostre azioni, toglierla dalle nostre parole, ridurre l’ipocrisia ed arrivare ad eliminarla. Si può e si deve fare, per sé stessi, per il nostro prossimo, per un futuro migliore, e per dare sostanza alle belle parole.

Voglio però rendere merito anche a quella parte di “belle parole” che sono veramente belle: esse sono la sostanza del nostro movimento, diventano belle dopo l’esempio, sono un gesto d’amore, di partecipazione, armoniose e miracolose, di sollievo, musica per i sofferenti (sostegno morale?), e per i bisognosi (sostegno materiale?).

E quando è necessario che precedano l’opera, utilizziamo un piccolo accorgimento: ricordate quando Cristo mandò i suoi Apostoli per il mondo a predicare? Uno di loro chiese che cosa dovevano fare o dire. Egli rispose di non preoccuparsi e di ricordare questo: “Soltanto la Verità vi renderà liberi”. Gv. 8-21,32.

Facciamo che le nostre “Belle Parole” lo siano per contenuto e non per forma, che siano come un ponte su un dirupo, un ombrello quando piove, un focolare quando si ha freddo, amici quando siamo soli: “Il monaco fiacco solleva solo polvere”. Buddha

Piccole e necessarie note.

La regola d’Oro. La regola d’oro di cui parlo era conosciuta anche ai tempi di Gesù e così recita: “Non fare agli altri ciò che non vorresti venisse fatto a te”.

La spirale. La spirale è il simbolo dell’evoluzione: lento cambiamento da un essere semplice a uno più complesso. Nella spiritualità indica il percorso che gli esseri umani devono fare per ridiventare “Perfetti come il Padre”.

“Soltanto la Verità vi renderà liberi”. È una mia libera interpretazione della parabola. Sono passato dalla filosofia di vita all’affermazione di principio spirituale.

M.G.

Gli articoli che propongo, sono scritti seguendo una linea spirituale, filosofica e pedagogica. Nel succedersi dei commenti alcuni concetti si potrebbero ripetere.

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PASSA PAROLA.

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Una risposta a “Una ricerca infinita 7 – Indagine sulle Belle Parole –”

  1. tlovertonet dice:

    I appreciate, cause I found just what I was looking for. You have ended my four day long hunt! God Bless you man. Have a great day. Bye

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