Le Religioni

( Sintesi e Adattamento) 

Cristo ci parla di un Dio divino. Nessun altro al mondo ha fatto cose o dette parole come Lui. Ecco perché Lui dice di essere (e noi si dice che è) il “Figlio di Dio”. E l’ha dimostrato.

In tutte le religioni esistenti si parla di un Dio e ci sono i richiami alle sue leggi. Il profeta raccoglie con la sua sensibilità la spiritualità divina, ma poi, quando ne fa la redazione, la sua imperfetta personalità umana prende il sopravvento:

Le Religioni e gli uomini.

Le religioni si differenziano, fra loro, a seconda della società che le ha create. Per questo le religioni in definitiva sono delle invenzioni di uomini. I nutrimenti, l’ambiente, i desideri, le speranze, determinano in buona misura il modello di divinità in cui credere.

Questa concezione della divinità estremamente primitiva, legata alla superstizione, alla paura, alla necessità, al potere, è rimasta fino a oggi. In queste religioni le divinità sono capricciose, imprevedibili, e richiedono pesanti sacrifici ai fedeli.

Sono le religioni del dolore, dell’obbedienza, dell’obbligo, dell’appartenenza assoluta. Religioni delle contraddizioni, delle false promesse, delle vane speranze, per persone che non conoscono, o non vogliono conoscere, Dio.

Solo in una società evoluta le persone possono fraternizzare, affrontare la vita e l’universo onestamente. Anche se non vi è la certezza della presenza del divino, se non per l’esistenza stessa del mondo, si può affermare ad ogni modo che tutto è sacro, sia che ci sia un Dio e sia che non ci sia.

Purtroppo l’umanità religiosa cerca di elevarsi spiritualmente con l’assunzione di un atteggiamento fideistico, per questo, quello che essa cerca di fare di sacro, finisce (quasi sempre) in un profano fallimento.

Le motivazioni di questo “profano fallimento” sono essenzialmente due: L’uomo è un essere biologico e questo gli causa una debolezza morale, in più c’è la frustrazione per la morte perché inevitabile e irrisolvibile.

La seconda è strettamente legata alla prima. E’ un effetto entropico, dovuto al ripetersi delle cause apparentemente senza causa, e all’assenza di soluzioni “miracolistiche”. In buona sostanza è la mancanza della conoscenza di Dio, e inevitabilmente la mancata comprensione del “come si deve vivere la vita” secondo conoscenza e coscienza del Divino.

A causa di questo l’uomo vive nel personale come un dramma la vita e nella società recita la commedia del vivere. La vita dell’umanità, alla fine, è una tragedia per lo spirito dell’uomo, per l’amore e per la pace universale”. 

Visione del divino degli esseri umani.

L’umanità è stata condizionata da questa imperfetta e spesso sbagliata: “Visione del Divino”. La morale religiosa che è stata imposta alle masse non ha portato vantaggi spirituali “Divini”.

Inoltre ci si trova frequentemente davanti all’ipocrisia e alla corruzione dei religiosi che amministrano il potere “Temporale”. Solo in pochi casi singoli, in persone troppo spesso perseguitate: “Gerusalemme, Gerusalemme che uccidi i tuoi profeti… (Mt. 23-37; Lc. 13-34)”, un risultato si è visto.

Che fare allora? La risposta a questo punto è ovvia. Non si devono fare rivoluzioni armate ma rivoluzioni concettuali. In questo caso si chiede all’umanità di convertirsi ai valori spirituali: “Ama il prossimo tuo come te stesso”.

Non si chiede a nessuno di convertirsi alla religione Cristiana, che non esiste, perché il Cristianesimo non è una religione. Cristo non voleva fondare una religione. La sua era, ed è, una “novità esistenziale”, per indirizzare gli uomini sulla strada della perfezione “divina”.

L’umanità di oggi non ha bisogno di Dei, di Santi, di Martiri, di Eroi: “Ha solo bisogno di uomini, e donne, di buona volontà”. L’ascesa in paradiso è un risultato e non il frutto di una conquista fatta con inganni, con armi e omicidi.

Le religioni dovrebbero comportarsi come il lievito con la pasta. Il lievito non deve proporsi di conquistare la pasta, come fanno le religioni, ma di dar luogo alla novità: “Il pane”, cioè donne e uomini nuovi, persone simili a Dio nell’intelligenza e nella sapienza.

 

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L’intelligenza

(Sintesi e Adattamento)

Cristo non voleva fondare una religione. La sua era, ed è, una “novità esistenziale”, per indirizzare gli uomini sulla strada della perfezione “divina”.

L’umanità di oggi non ha bisogno di Dei, di Santi, di Martiri, di Eroi: “Ha solo bisogno di uomini, e donne, di buona volontà”. L’ascesa in paradiso è un risultato e non il frutto di una conquista fatta con inganni e omicidi.

Le religioni dovrebbero comportarsi come il lievito con la pasta. Il lievito non deve proporsi di conquistare la pasta, come fanno le religioni, ma di dar luogo alla novità: “Il pane”, cioè donne e uomini nuovi, persone simili a Dio nell’intelligenza e nella sapienza. 

L’Intelligenza.

“L’uomo, non è in grado di riconoscere l’intelligenza come tale se è di un livello o di un sub livello diverso.

Egli concepisce come intelligenza solo ciò che si muove con comportamenti simili ai suoi.

L’uomo riconosce l’intelligenza che si esprime con un’etica o una morale simile alla sua e non è in grado di comprenderne una diversa.

 Le decisioni di un’intelligenza diversa sono per lui spesso incomprensibili, non riconosce la logica dei suoi parametri perché è di là dalle sue capacità di elaborazione.

Così gli animali, nel percepire i comportamenti umani, li vedono privi di senso, perché noi agiamo sui fondamenti della riflessione, che supera le loro capacità percettive.

Allo stesso modo, non possiamo percepire Dio, in quanto intelligenza, poiché il suo Pensiero è riflessione totale, e la sua complessità, e la sua profondità c’è completamente preclusa.

Il pensiero Divino è un assoluto che abbraccia il tutto, mentre il pensiero umano è un relativo, un’opinione. Il nostro pensiero non va oltre il “noi” come gruppo, tribù, nazione, che poi alla fine non sarebbe altro che un’estensione dell’Io, manifestazione dell’Ego.

L’uomo allora deforma l’immagine di Dio rendendola sub-umana, cioè al suo esclusivo servizio. Usa Dio per delle sue mirabolanti visioni, finge di pregarlo o di adorarlo, non senza di mancare di agire conformemente all’insegnamento là dove la convenienza o l’ignoranza spinge, e non s’interroga se le sue azioni sono in contraddizione con quelle leggi “divine” da lui pronunciate, forse osservate, ma soprattutto imposte ad altri.

Così Dio è usato, manipolato, invocato nelle faccende umane: per vincere alla lotteria, per vincere le guerre. Si ringrazia nei fatti favorevoli e lo si maledice in quelli sfavorevoli.

 

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Mythos E Logos (Mito e Verità)

Sintesi e Adattamento.

Se ci si riferisce alle fonti della mitologia greca, si deve assegnare alla parola “mythos” (mito) un’area di significato piuttosto vasta, comprendente conno­tazioni che hanno a che fare con il parlare, il dire, l’annun­ciare un progetto, il narrare.

I miti, si presentano, nelle strutture narrative, come racconti (spesso di am­piezza e resa drammaturgica notevoli), che affrontano soprattutto i temi delle origini (degli dei, del mondo, dell’uomo, della coppia umana e dell’u­manità).

L’obiettivo del mito (come in seguito quello del pensiero razionale) sembra essere la comprensione del reale al di là del suo offrirsi apparente.

II racconto del mito, accessibile a tutti in quanto a linguaggio, ha la forma di una rivelazione. Perciò la parola del mito ha un signi­ficato magico religioso; essa esprime la verità (Alètheia) in modo assertorio: nessuno la contesta, nessuno la dimostra.

La pronuncia il poeta, che ha ricevuto il dono della veggenza dalle Muse, che posseggono la “memoria” e la “verità”; è una parola che esprime giustizia (poiché descrive e spiega l’equilibrio su cui si basa l’ordine cosmico), esige fiducia ed è persuasiva.

Quella che il mito esprime è una verità necessaria all’uomo, ma gli è esterna: “Egli non la produce e non la modifica, vi attinge”.

Sviluppo della Filosofia Greca.

Con lo sviluppo più maturo della filosofia greca, dal V, IV secolo a.C., il termine “Mythos” inizia a essere contrapposto a “Logos”. Logos andrà ad assumere prevalentemente il signifi­cato di “discorso logico e razionale” mentre la complessa area di significati che si riferiscono a “mythos” finirà, fatalmente oscurata, nel cono d’ombra della pre-razionalità.

Nel V secolo a.C. comincia ad affermarsi (con Ferecide e Acusilao di Argo) un’interpretazione secondo cui il mito, pur latore di buoni insegnamenti e di qualche verità, altro non sarebbe che: “Una rico­struzione di fatti storici distorta dalla fantasia e dalla poesia”.

Il passo decisivo verso un’interpretazione pienamente razionali­stica del significato del mito e verso un definitivo ridimensionamento della sua funzione, lo compiono Platone e Aristotele, per i quali la contrapposizione va posta tra “Il discorso che non richiede dimostra­zione” (mythos) e l’argomentazione razionale (logos).

“Il mito risulta allora come un prodotto imperfetto dell’attività intel­lettuale, a volte contrapposto alla verità, a volte approssimato a essa, perché espressione di verosimiglianza”.

Differenza tra Verità e Opinione.

Il filosofo napoletano Giambattista Vico sostenne che il mito rap­presenta una forma autonoma di pensiero, che esprime, in società primitive, una concezione del mondo.

Non che il mito non contenesse già la meraviglia dell’uomo di fronte alla realtà. E nemmeno è pensabile una differenza tutta incentrata sul fatto che quest’ultima sia conoscenza razionale mentre il primo sarebbe caratterizzato piuttosto dall’irrazionalità dei suoi racconti. A quei racconti appartiene invece una sapienza che ben risponde ai bisogni spirituali e culturali di una so­cietà “arcaica”.

Se la meraviglia funziona da molla propulsiva, la differenza fra i due va ricercata nel diverso modo di accostarsi al problema della verità (Alètheia), parola composta che significa “Ciò che non è nascosto”, “Che è svelato” o “Che è rivelato”.

Il poeta con i suoi racconti dà un ordine al mondo co­sì come l’oracolo ne scioglie i misteri. La parola ispirata non viene discussa; essa è ascoltata, accolta dalla comu­nità che ne fa oggetto di credenza e di fede (nel senso dell’ “affidarsi a” o del “fidarsi di”) e tutto ciò perché il mito non ha mai inteso essere “Una invenzione fantasti­ca”, bensì la “Rivelazione del senso essenziale e complessi­vo del mondo”.

“Ne consegue che il Mito (Mithos) è da considerarsi come un prodotto imperfetto dell’attività intel­lettuale, a volte contrapposto alla verità, a volte approssimato a essa, perché espressione di verosimiglianza, e seppur latore di buoni insegnamenti e di qualche verità, altro non sarebbe che una rico­struzione di fatti storici, distorti dalla fantasia e dalla poesia”.  

 

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(Cap. 8) Nascita Di Gesù – I Magi.

(Lc. 2-1,7; 2-8,20,21,24; Mt. 1-18; Mt. 2-1,12)

Protovangelo di Giacomo il minore. Vangelo Pseudo Matteo. Vangelo Armeno (Sintesi e Adattamento)

Nascita di Gesù.

Era il giorno ventitré del mese di Tèbèth, il nove di Gennaio. Da alcuni giorni una grande stella cometa era apparsa nel cielo. Splendeva su tutta la regione e sembrava indicasse la grotta dove era nato il bambino.

Non si era mai visto un prodigio simile a memoria d’uomo, e negli scritti dall’origine del mondo, in nessuno si diceva che si fosse visto una stella cometa così grande e luminosa.

Ma, nei libri, i profeti annunciavano che la nascita del Messia sarebbe stata preceduta dall’apparizione della sua stella per illuminare il cuore di molti uomini, in tutte le nazioni, e chiamare a raccolta l’esercito celeste. Egli avrebbe portato a compimento la promessa fatta da Dio ad Israele e al suo popolo.

Gesù nacque a Betlemme di Giuda nei tempi in cui Erode era governatore della regione.

Arrivo di stranieri a Gerusalemme.

In quei giorni arrivò alle porte di Gerusalemme una carovana di stranieri e una grande curiosità si diffuse fra il popolo. Erano arrivati a Gerusalemme, dopo aver fatto un lungo viaggio, dei Magi dall’Oriente. Re e Veggenti con il loro seguito di servi e animali.

Avevano lussuosi vestiti dai mille colori sgargianti, adornati di ori e pietre preziose. A tutti chiedevano: “Indicateci il luogo dove è nato il re dei Giudei. Abbiamo visto apparire la sua stella ad oriente. La stella che annuncia la nascita di un Messia e siamo venuti per adorarlo”.

Chiedendo questo causarono una grande agitazione fra il popolo anche perché nessuno lo sapeva. Queste parole si diffusero di bocca in bocca finché giunsero all’orecchio di Erode.

Il re si turbò nell’ascoltare questa storia e con lui tutti i notabili di Gerusalemme. Radunò i Sommi Sacerdoti e gli Scribi del popolo in assemblea e prese ad interrogarli dove il Messia dovesse nascere. Ordinò a loro di consultare i libri dei padri e dei profeti.

Erode interroga i sacerdoti sulle profezie.

Dopo un attento esame delle profezie i sacerdoti gli risposero che il Messia sarebbe nato a Betlemme di Giudea, perché così fu lasciato scritto dal profeta: “In Betlemme, nella terra di Giuda, nascerà un principe che guiderà il mio popolo alla salvezza”.

Erode, dopo aver ascoltato questi discorsi, congedò i sacerdoti, poi mandò dei messi ad invitare i Magi nel suo palazzo. Essi nel frattempo avevano costruito un accampamento fuori dalle mura della città.

Si fece spiegare da loro il tempo dell’apparizione della stella e tutto quello che sapevano delle profezie e della nascita di un messia. Per questo quando li invitò a palazzo chiese loro: “E’ da questo prodigio celeste che avete capito che è nato il Messia delle profezie”.

Dissero i Magi a Erode, non immaginando il vero motivo delle domande che egli faceva a loro: “Una grande stella è apparsa nel cielo ad oriente. Brilla più di tutte le altre e le oscura con la sua luce, cosi che esse spariscono al suo cospetto.

Da questo abbiamo capito che un grande evento avviene sulla terra: E’ nato in Israele un Re, il Messia delle profezie, e siamo venuti a rendergli omaggio”.

Ascoltate attentamente le parole dei magi Erode disse a loro: “Siate i benvenuti, come lo sono tutti coloro che vengono in nome del Signore. Andate in pace e cercate il fanciullo, e quando lo troverete, venite ad informarmi, affinché anch’io abbia la possibilità di venire ad adorarlo”.

I Magi alla ricerca di Gesù.

I Magi, udite le parole del re, felici, si licenziarono da lui per continuare la loro ricerca. La stella, che avevano visto sorgere, brillava come non mai nel cielo. Li precedeva indicando il luogo dove era nato il bambino: “La dove la terra si congiunge con il cielo vi è la grotta”.

Nel rivedere la stella i cuori dei Magi vennero invasi da una gioia grandissima. Ebbero la certezza che il loro cammino era guidato da una mano celeste. Raggiunsero infine la grotta. Attorno ad essa pastori con i loro armenti tessevano lodi al Signore.

All’interno della stalla, adagiato in una mangiatoia, il bambino, Maria sua madre, Giuseppe, un bue ed un asino. Si prostrarono in segno di adorazione piegando il ginocchio a terra e inviarono ringraziamenti al Dio dei cieli.

Una grande gioia era scesa nei loro cuori alla vista del bambino. Il loro viaggio si era concluso felicemente. Chiamarono gli uomini del seguito e chiesero loro di portare all’interno della grotta tutti i doni che avevano pensato di offrire al Messia.

I doni dei Magi.

Aprirono i loro scrigni che contenevano: “oro incenso e mirra”, come simboli del vivere, della vita e della morte. S’inchinarono in segno di sottomissione e obbedienza al re che è nato, e che giace in fasce davanti a loro.

Depositarono ai suoi piedi i forzieri dai quali trassero fuori i doni:

– Balthasar: scrigni con oro e argento. Innumerevoli pietre preziose: rubini, zaffiri e lunghe file di perle-.

– Gasparre: l’incenso, e scrigni contenenti del nardo, della cannella, ed altri preziosi profumi-.

– Melchiorre: la mirra, e scrigni contenenti l’aloe, la porpora, il lino. Per ultimo depositarono ai suoi piedi un forziere contenente dei libri preziosi, fra i quali vi era il Libro del Testamento, che narrava dell’origine dei tempi, scritto e chiuso da Dio stesso con le sue mani -.

La fioca luce delle stelle che entrava nella grotta, divenne bagliore per i mille riflessi che si sprigionavano dagli ori, dalle pietre preziose e dai tessuti con i colori dell’arcobaleno. Essi creavano una suggestiva cornice alla cerimonia dei Magi nell’offerta dei doni.

Infine il re Melkon, con fare solenne, prese dal forziere di prezioso legno, con intarsi d’oro, e pietre preziose incastonate per decorazione, il Libro del Testamento. Lo aveva avuto in eredità dai suoi antenati fin dall’inizio dei tempi conosciuti per portarlo in dono al Messia.

Il Libro del testamento.

Lo depose ai suoi piedi assieme a tutti gli altri doni dicendo queste parole: “Signore, ecco a te lo scritto, sotto forma di let­tera, che tu ci hai lasciato in custodia, dopo averlo chiuso e sigillato.

Io, in nome del mio popolo e dei miei avi, te lo rendo come promesso. Riprenditi questo documento che tu stesso hai scritto”.

Era un libro documento, il cui testo scritto era stato segretamente conservato dai Magi che non avevano mai avuto l’ardire di aprirlo né farlo leggere ai sacerdoti, e nemmeno farlo conoscere al popolo.

Questo perché non vi erano uomini degni di diventare figli del Regno, essendo loro, e i loro discendenti, desti­nati a crocifiggere e rinnegare il Salvatore.

Contenuto.

“Nella testimonianza in nostro possesso vi è la promessa che il Signore ha fatto per la salvezza degli uomini e dei loro discendenti. Noi l’abbiamo custodito devotamente in attesa di questo giorno.

Questo è un libro che solo la nostra nazione possiede. Nessun altro popolo lo conosce, né per sen­tito dire, né per conoscenza diretta.

Solo alla nostra gente è stata donata questa testimonianza scritta, nessun altro lo conosce e nessuno ne possiede uno simile. Risale al tempo in cui Adamo dovette lasciare il Paradiso, e Caino uccise Abele.

Allora il Signore Iddio gli concesse un altro  figlio: Seth. Gli consegnò anche questo do­cumento scritto, chiuso con un sigillo. Seth lo ebbe da suo padre, e a sua volta lo diede ai suoi figli, e i suoi discendenti ai loro figli, con la promessa di non aprirlo mai perché a nessuno era dato di leggerlo.

Tutti ricevettero l’ordine di custodirlo in segreto e con somma cura. Di generazione in generazione giunse fino a Noè. Noè poi lo consegnò a suo figlio Sem. I figli di Sem lo diedero ai loro discendenti, fino ad Abramo, ed Abramo lo consegnò al sommo sacerdote Melchisedec.

Poi, ai tempi  in cui regnava Ciro sulla Persia, giunse al nostro popolo. I nostri padri l’hanno deposto nella sala delle cerimonie, venerato come una reliquia dalla nostra gente. Abbiamo così potuto conoscere in anticipo la nascita del nuovo re d’Israele”.

Ritorno dei Magi alle loro terre.

Terminati tutti i discorsi i magi si ritirano fuori dalla grotta e si accamparono nei pressi. Nel cuore della notte un Angelo del Signore scese fra loro per avvertirli delle vere intenzioni di Erode riguardo al bambino.

Disse a loro di non entrare in Giudea per ritornare da Erode, come lui aveva chiesto loro, ma di andarsene in fretta. I Magi se ne tornarono al loro paese per un’altra strada con la gioia nel cuore e tessendo lodi al Signore che aveva permesso loro di visitarlo. Amen.

 

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Vangelo di Nicodemo (Sintesi e Adattamento)

– 2° parte –

Il Sinedrio riunito nel Tempio. – Giuseppe d’Arimatea 

All’interno del Sinedrio vi era ancora un grande tumulto per questo nuovo avvenimento. Gli animi non si erano placati. Dall’assemblea si levavano urla, insulti e minacce, contro Pietro, Giovanni e il loro credo. I sacerdoti e gli anziani non si davano pace perché le ultime parole di Pietro li avevano profondamente colpiti e messi davanti al loro peccato.

Alla fine, quando ritornò la calma, raggiunsero un’intesa: stabilirono di indagare su tutti gli avvenimenti accaduti cercando testimonianze sincere fra i loro accoliti. Chiamarono a testimoniare, davanti all’assemblea, un uomo devoto di nome Finees, Adas un rabbino, e anche un certo Ag­geo.

Erano in quei giorni a Gerusalemme per la preghiera. Venivano dalla Galilea in pellegrinaggio. L’assemblea li chiamò perché si sapeva che erano stati testimoni di avvenimenti che riguardavano Gesù e i suoi Apostoli, e il Sinedrio voleva esserne messo a parte.

Testimonianza di Finees, Adas e Aggeo.

Risposero così alle domande che venivano a loro fatte: “Gesù e i suoi discepoli erano riuniti sul monte degli Ulivi. Abbiamo sentito che diceva queste parole: Andate nei paesi del mondo ad annunciare la buona novella del Regno ad ogni uomo e ad ogni donna. Chi crederà alle vostre parole e si farà battezzare nel mio nome, si salverà, chi non crederà è già condan­nato.

Coloro che avran­no creduto manifesteranno dei segni e tutti capiranno che sono miei discepoli: cacceranno i demoni; gli infermi guariranno con il tocco delle loro mani; lo Spirito del Padre aleggerà su di loro e li sentirete dire cose nuove sul Regno e sulle sue vie.

Poi vedemmo Gesù salire al cielo mentre stava anco­ra parlando, e i suoi discepoli raccogliersi in preghiera”.

I sacerdoti dubbiosi.

Increduli per quello che avevano sentito, dall’assemblea del Sinedrio alcuni dissero: “Potete ripetere questa vostra testimonianza davanti all’altare del Tempio di Dio e giurare che tutto quello che avete detto è esattamente quello che avete visto e udito?”.

I tre testimoni confermarono le loro parole dicendo: “Davanti a Dio, Il Signore del nostro popolo e dei nostri padri: Abramo, Isacco e Giacobbe, noi confermiamo che tutto quello che vi abbiamo detto l’abbiamo visto e sentito, come abbiamo visto Gesù mentre veniva assunto in cielo”.

Dall’assemblea si alzò un mormorio di dissenso per queste parole, ma gli anziani, i sacerdoti e i leviti continuarono con le loro domande: “Per quale motivo siete scesi a Gerusalemme?” I tre uomini risposero a loro: “Siamo venuti per offrire la nostra preghiera a Dio”.

Allora uno dei Sadducei, non potendo più trattenersi dal biasimarli, disse: “Se siete venuti al Tempio per la preghiera e per fare un’offerta al Dio dei nostri Padri, a che scopo avete riferito tutte queste scemenze davanti a noi?”.

L’ostilità del Sinedrio.

Finees, Adas, e Aggeo rimasero molto intimoriti dall’ostilità che veniva mostrata nei loro confronti, ma radunarono tutto il loro coraggio e dissero a quelli che li interrogavano: “Voi ci avete chiamati qui per riferirvi sui fatti di cui siamo stati testimoni, ma se le pa­role che vi abbiamo detto, su fatti di cui siamo testimoni, costituiscono per voi una colpa, ecco, fate di noi quello che più vi aggrada!”

Molte voci si levarono dal Sinedrio. L’assemblea appariva divisa fra tante opinioni. I Sacerdoti, richiamando tutti al silenzio, presero i libri della Legge e fecero giurare i tre uomini per confermare la loro testimonianza.

Poi ordinarono loro di non ripetere con nessuno i discorsi che erano stati fatti all’interno del Tempio. Infine li lasciarono liberi di ritornare in pace alle loro case, non prima di averli fatti accompagnare dai servi nella mensa perché venissero rifocillati.

Consegnarono a loro anche una borsa di denaro e con la scorta di tre guardie ritornarono in Galilea.

Non si placavano i tumulti all’interno del Sinedrio. L’assemblea era ancora riunita a porte chiuse. Da alcuni di loro si levavano grandi lamenti, e una disperata domanda: “È se fosse avvenuto davvero questo prodigioso evento, di cui si va parlando, in Israele?”.

I Sacerdoti del Tempio si interrogano.

Anna e Caifa presero la parola e dissero: “Perché vi turbate? Per che cosa vi disperate? I discepoli di quell’uomo hanno organizzato un inganno che voi non riuscite a capire.

Essi hanno dato alle guardie del sepolcro molto denaro. Poi li hanno istruiti su quello che dovevano dire, cioè che un Angelo del Signore  disceso dal cielo ha divelto la pietra davanti all’ingresso del sepolcro! Poi i suoi discepoli hanno portato via il suo corpo”.

Dagli anziani e da alcuni sacerdoti venne un dissenso a questo discorso: “Tu dici che hanno trafugato un cadavere, ma allora come si spiega che sia stato visto vivo in Galilea?”

A questo discorso nessuno riuscì a dare una risposta, e nessuno insistette oltre per non incorrere nelle ire di Caifa. Il Sommo Sacerdote godeva di molto rispetto ed aveva una grande autorità che intimoriva molti.

Nicodemo parla all’assemblea.

Quando tutte le cose da dire sembravano finite, dai banchi si alzò Nicodemo e chiese che gli fosse concesso di parlare: “Fratelli, uomini d’Israele, ho sentito delle belle parole.

Ma ci stiamo dimenticando, o popolo del Signore, che quegli uomini che abbiamo chiamato davanti a noi a testimoniare, e che sono venuti dalla Galilea, sono anch’essi nostri fratelli e osservanti della Legge.

Li conosciamo e sappiamo che disprezzano il furto e la rapina. Che non sono avidi di ricchezze e che sono uomini di pace.

Ebbene, quello che hanno testimoniato lo hanno fatto sotto giuramento, non possiamo chieder loro più di così. Meritano tutto il nostro rispetto. Solo una cosa non abbiamo chiesto a loro: In che modo Gesù è stato assunto in cielo?

Ecco quello che ci è rimasto da chiedere e avremmo dovuto farlo. Perché, come tutti noi possiamo leggere nei libri delle Sacre Scrittu­re, è scritto che anche il profeta Elia salì in cielo, ed Eliseo, il suo discepolo, gettò un grido, allora Elia gli lanciò il suo mantello.

Eliseo lo distese sulle acque del Giordano, vi camminò sopra ed andò nella città di Gerico. Gli venne chiesto dai figli del profeta dove fosse Elia. Egli disse loro che era salito in cielo.

Essi chiesero ancora ad Eliseo: Non sarà stato rapito da qualche spirito maligno e portato sulla cima di un monte? Orsù, raduniamoci con altri e andiamo a cercarlo!

Riuscirono anche a farsi seguire da Eliseo nella spedizione. Dopo una ricerca durata diversi giorni, non avendolo trovato da nessuna parte, si convinsero che era stato davvero assunto in cielo.

Ed ora anche noi facciamo altrettanto: Mandiamo i nostri uomini in tutte le città e su tutti i monti d’Israele alla ricerca di Gesù”.

Tutti i sacerdoti e il popolo alla ricerca di Gesù risorto.

Questa proposta venne accettata da tutto il Sinedrio. L’assemblea quindi decise di inviare uomini a cercare Gesù in ogni dove. Ma non lo trovarono in nessun luogo!

Trovarono invece, nel villaggio di Arimatea, Giuseppe. Non ebbero il coraggio di arrestarlo. E questo fu quello che raccontarono agli anziani, ai Sacerdoti e ai Leviti: “Siamo andati su ogni monte, in ogni villaggio e in ogni città ma Gesù non l’abbiamo trovato. Abbiamo invece trovato Giuseppe, nel villaggio di Arimatea”.

Sentendo parlare di Giuseppe, molti del Sinedrio si rallegrarono e levarono lodi a Dio. Infatti Giuseppe era un membro del Sinedrio stimato e rispettato da tanti. Ma era successo che una notte era scomparso misteriosamente.

Giuseppe d’Arimatea fugge dalla prigione.

Nei giorni successivi alla crocifissione di Gesù, nel Sinedrio, vi erano alcuni fortemente arrabbiati con lui perché ne aveva richiesto il corpo e poi lo aveva collocato in un sepolcro di sua proprietà.

Chiamato dai sacerdoti davanti a loro per giustificarsi, venne, con minacce e insulti, arrestato e messo in una prigione senza finestre, con la porta chiusa e sprangata dall’esterno, e la chiave custodita da Caifa in persona.

Attorno all’edificio dei soldati, fedeli al Sommo Sacerdote, montavano la guardia per impedire che qualcuno venisse a liberarlo.

Quando il giorno dopo andarono a prenderlo per condurlo davanti al Sinedrio, anche se avevano già deciso di metterlo a morte, non lo trovarono. Era sparito dalla prigione!

La porta era chiusa a chiave e ancora sprangata. I soldati, tutti, erano al loro posto ma di Giuseppe non vi era traccia.

Questo mistero turbò l’animo di molti in Israele e nessuno riusciva spiegare come era potuto avvenire quel fatto.

Il suo ritrovamento generò soggezione nel cuore di molti, questi pensavano che fosse protetto dal Signore.

Il Sinedrio invia una lettera a Giuseppe

L’assemblea del Sinedrio tenne consiglio sul modo migliore per poter parlare con lui. Erano cauti perché temevano la sua ira e nello stesso tempo temevano anche l’ira di Dio.

Decisero che il modo migliore fosse quello di scrivergli. Chiamarono uno scriba. Questi prese un rotolo di papiro, poi su ordine dei Sacerdoti, degli Anziani, dei Leviti, lo scriba scrisse a Giuseppe questa lettera: “La pace del Signore scenda su di te fratello.

Riconosciamo il nostro peccato con­tro Dio e contro di te. Un grande dolore ci ha colto quando abbiamo aperto la porta della stanza dove eri stato messo e tu non eri più all’interno. Tutti assieme allora abbiamo pregato il Signore che tu potessi andare dai tuoi padri e dai tuoi figli.

Abbiamo compreso che il braccio del Signore si è levato per proteggerti dal nostro disegno malvagio, e ha reso vani i nostri progetti perversi contro di te, amato padre Giuseppe”.

Incaricarono per l’ambasciata sette uomini scelti fra tutti gli amici di Giu­seppe e che da lui erano ricambiati, quindi i capi li istruirono con queste parole:  “Osservate bene: Se sarete ricevuti come si conviene fra amici e leggerà la lettera, è il segno che ascolterà la nostra richiesta e verrà con voi in Israele.

Se invece non vorrà leggerla nemmeno con la vostra supplica, è il segno che è adirato con noi. Allora fate così: Salu­tatelo in amicizia, invocate che la pace del Signore scenda sulla sua casa, e ritornate da noi”.

Gli ambasciatori del Sinedrio a casa di Giuseppe.

Gli ambasciatori andarono da Giuseppe dopo aver ricevuto la benedizione dai Sacerdoti. Arrivati, lo salutarono come si conviene: “La pace del Signore sia con te”. Giuseppe ricambiò il saluto: “La pace accompagni voi e il popolo del Signore”, e li fece entrare in casa.

Gli venne consegnata la lettera del Sinedrio. Giuseppe lesse con attenzione quanto vi era scritto poi la baciò, levò una lode a Dio: “Be­nedetto il Signore che con il suo intervento ha impedito al suo popolo il delitto di un innocente, e benedetto l’Angelo mandato dal Signore che mi ha custodito sotto le sue ali!”.

Poi, diede ordine di imbandire la tavola come si conviene quando vi sono invitati di riguardo e ospitò i suoi amici per la notte. Il mattino dopo, di buon ora, dopo la preghiera, Giuseppe trasse la sua asina dalla stalla e, assieme agli ambasciatori del Sinedrio, si mise in cammino per andare a Gerusalemme.

Giuseppe entra in Gerusalemme.

Nella città intanto si era sparsa la voce del suo ritorno e una numerosa folla gli si fece incontro festosa gridando parole di gioia: “Pace Giuseppe. Che la pace del Signore sia sempre con te!”.

Egli commosso dall’affetto che il popolo gli manifestava ricambiò il saluto: “Che la pace sia con voi!”. Tutto il popolo era festante ed erano in molti quelli felici di vederlo di nuovo fra di loro. Gli mandavano baci e invocazioni. Poi tutti assieme si radunarono in preghiera.

Giuseppe rimase ospite nella casa di Nicodemo. Per festeggiare l’avvenimento venne allestito un grande banchetto con molti invitati. Fra questi Anna e Caifa, gli anziani del popolo, i Sacerdoti e i Leviti.

La pace era scesa sulla festa e tutti gli invitati erano felici. Mangiavano e bevevano scambiandosi segni di amicizia. Assieme levavano inni al Signore ed alla fine gli ospiti se ne ritornarono alle loro case in pace.

Anna e Caifa a colloquio con Giuseppe.

Giuseppe rimase nella casa di Nicodemo anche per la notte. Il giorno dopo era il giorno della preparazione alla festa. Una delegazione del Sinedrio, guidata da Anna e Caifa, bussò di buon mattino alla porta di Nicodemo che li accolse con il saluto: “Shalòm. Pace a voi. Gioia e salute alla vostra casa!”.

Essi risposero: “Pace anche a te Nicodemo e pace a Giuseppe, alla tua casa e alla casa di Giuseppe!”. Nicodemo li accolse nella sua casa, e quando il consiglio del Sinedrio si trovò seduto, Giuseppe stava in mezzo fra Anna e Caifa.

Ma nessuno di loro aveva il coraggio di ri­volgergli la parola. Fu Giuseppe allora a parlare e disse: “Su che cosa volete interrogarmi? Anna e Caifa fecero cenno a Nicodemo di parlare in vece loro a Giuseppe ed egli disse: “Tu sai che il consiglio vorrebbe sapere una cosa da te”.

“Domandate pure e io vi risponderò”. Rispose Giuseppe. Allora i Sommi sacerdoti fecero giurare Giuseppe sul Libro della Legge: “Dichiara la gloria del Dio d’Israele e confes­sati davanti a lui. Così come fece Achar, quando il profeta Giosuè gli chiese di giurare, lui disse il vero, e riferì ogni cosa secondo verità.

Questo lo chiediamo anche a te supplicandoti di metterci a parte di ogni cosa e di non nasconderci nulla”. Giu­seppe fece questa solenne promessa. “Non vi nasconderò nessuna cosa e ogni mia parola sarà per la gloria di Dio” .

Dichiarazione di Giuseppe

Allora gli venne detto: “Un grande turbamento è sceso su di noi quando hai richiesto a Pilato il corpo di Gesù e dopo averlo avvolto in un len­zuolo nuovo l’hai messo nel tuo sepolcro. Ci siamo sentiti traditi da te e ne fummo grandemente dispiaciuti.

Decidemmo per questo di farti arrestare e rinchiudere in una stanza senza nessuna finestra, mettendo catene e sigilli alle porte, e dei soldati a vigilare che nessuno violasse il luogo do­ve ti avevamo rinchiuso.

Ma poi, quando mandammo a prenderti, il giorno dopo il sabato, per portarti davanti a noi, trovammo la stanza vuota e di te non c’era traccia alcuna. Tutti ne fummo sconvolti e questo turbamento si è diffuso anche fra il popolo del Signore fino a ieri, quando sei ritornato fra di noi. Ecco, noi ora ti chiediamo di spiegarci che cosa è successo”.

Giuseppe allora disse a loro: “Dal momento che mi avete rinchiuso, cioè dal giorno della preparazione, io sono rimasto là anche tutto il sabato. Ma durante la notte, mentre ero ancora intento a pregare, la pareti della stanza parvero alzarsi da terra e una luce abbagliante mi avvolse chiudendomi gli occhi.

Gesù fa evadere Giuseppe dalla prigione.

Mi gettai allora in ginocchio tremante di paura. Qualcuno prese la mia mano e mi fece rialzare da terra. Sentii che il mio corpo veniva bagnato da acqua che mi scorreva dalla testa ai piedi, poi venni come cosparso di profumo di mir­ra.

Dopo avermi lavato la faccia, mi baciò e mi disse: Giuseppe, non aver paura e guarda chi è che ti sta parlando. Io aprii gli occhi e guardai chi mi chiamava. Questi era Gesù!

Io credetti di vedere un fanta­sma e allora ripresi a tremare e dalla paura recitai i comandamenti. Gesù allora li recitò con me. Come tutti noi sappiamo, un fantasma se si trova in presenza di qualcuno che recita i comandamenti se ne fugge e ritorna da dove è venuto.

Così quando vidi che non scompariva io gli dissi: Rabbi Elia! Ma egli mi rispose: Non sono Elia. Io allora gli chiesi: Chi sei dunque? Io sono Gesù, colui di cui tu hai chiesto il corpo al governatore e che hai deposto nel tuo sepolcro”.

I sommi sacerdoti sconvolti dalle dichiarazioni di Giuseppe.

Quando Giuseppe ebbe terminato la sua testimonianza il consiglio del Sinedrio, ma soprattutto Anna e Caifa, apparivano sconvolti da quello che avevano sentito.

Levavano lamenti e preghiere al cielo. Stettero anche a digiuno per tutto il giorno e nessuno riusciva  a consolarli. E così se ne ritornarono alle loro case per prepararsi per il giorno di festa: Il Sabato, la festa del Signore.

Il consiglio degli anziani, dei Sacerdoti, dei rabbini, dei Leviti, si radunò nel Tempio e tutti si interrogavano sulla testimonianza portata da Giuseppe e molti erano sconfortati.

Nei loro lamenti dicevano: “Cosa sono questi fatti che sono accaduti fra di noi? Dobbiamo temere dunque che l’ira del Signore si abbatta su di noi? Ma noi conosciamo di lui suo padre e sua madre, loro sono del nostro popolo e noi siamo il popolo di Dio!”.

Il rabbino Levi prende la parola.

Si levò in piedi il rabbino Levi, uno dei maestri della Legge e chiese la parola: “Fratelli, dei suoi genitori sappiamo che sono osservanti della legge, che adempiono i voti e pagano le decime che sono dovute tre volte ­l’anno. Alla nascita di Gesù, vennero con lui al Tempio, ed offrirono a Dio i sacrifici e gli olocausti che la tradizione richiede.

Il grande mae­stro Simeone, quando vide il bambino, lo prese fra le sue braccia e levando gli occhi al cielo disse: Ora il tempo del tuo servo è compiuto, o Signore. Lascia che me ne vada in pace, secondo la tua parola. Oggi i miei occhi hanno visto la tua salvezza, la luce che hai inviato per tutti i popoli. Luce che illumina i cuori di tutte le genti e gloria per Israele e per il suo popolo”.

Poi Simeone ridiede il bambino a Maria, sua madre, li benedisse dicendole queste parole: “Ho da svelarti delle profezie che riguardano questo bambino”.

Disse Maria a Simeone: “Sono buone le cose che mi vuoi dire, mio signore?.

Simeone le disse: “Sì, sono buone Maria. Ecco, egli è preposto come segno di contraddizione, per la caduta di molti in Israele, o per la loro risurrezione, fino al giorno che una spada trapasserà la sua anima, e in quei tempi i pensieri di molti cuori verranno rivelati”. 

Un mistero divino circonda Gesù.

Il consiglio del Sinedrio era ammutolito sentendo questa testimonianza che confermava ulteriormente il mistero divino che circondava Gesù. Gli increduli, i più scettici, coloro che non ammettevano i fatti nemmeno davanti all’evidenza chiesero al rabbino Levi: “Maestro, e tu come sai di queste cose?”.

Levi, amareggiato perché aveva capito che non era stato creduto, rispose a loro: “Non ricordate che fu proprio Simeone il mio maestro, e che è stato lui ad insegnarmi la Legge?”.

Ma quelli del sinedrio che avevano parlato dissero ancora: “Vogliamo che la tua testimonianza sia confermata da tuo padre”.

Quando il padre di Levi arrivò nel Sinedrio gli chiesero conferma di quello che aveva detto il figlio. Allora lui rispose a loro: “Sono sorpreso che non abbiate creduto a mio figlio. Egli è un Rabbino e siede nel Sinedrio come voi, inoltre è un maestro della Legge. Tutto gli è stato insegnato da Si­meone in persona, profeta in Israele e giusto davanti a Dio”.

Dal sinedrio qualcuno chiese a Levi: “Rabbi Levi, confermi il discorso che ci hai fatto?”. Rispose a loro Levi: “Si, quello che ho detto è vero”. Ma in pochi erano convinti da quello che avevano sentito.

L’incredulità dei Sacerdoti.

Alcuni dell’assemblea dissero fra di loro: “Dobbiamo investigare ancora su come quel Gesù sia stato assunto in cielo. Dunque, mandiamo di nuovo a chiamare dalla Galilea gli uomini che abbiamo sentito. Essi sono stati testimoni del suo insegnamento e della sua assunzione in cielo. Che vengano a raccontarci come si sono svolti i fatti!”.

 Questa proposta pacificò gli animi nel Sinedrio. Mandarono gli stessi uomini che erano già andati in precedenza. Arrivati nel villaggio, in Galilea, li trovarono all’interno della Sinagoga intenti a studiare la Legge. Dopo il saluto dissero loro: “Vi manda a chiamare il Sinedrio”.

Sentito che dovevano recarsi ancora davanti al Sinedrio, ebbero timore. Pregarono Dio, poi diedero ospitalità ai tre inviati. Il giorno dopo si misero in viaggio per Gerusalemme.

Arrivati in città entrarono nel Tempio ed andarono davanti all’assemblea del Sinedrio. Vennero interrogati con queste parole: “Vogliamo avere da voi la conferma che davvero avete visto e ascoltato quello che ci avete raccontato. Inoltre dovete dirci come Gesù è stato assunto in cielo”.

Finees, Adas, e Aggeo risposero loro dicendo queste parole: “Quello che noi abbiamo visto ve lo abbiamo riferito come è apparso ai nostri occhi”. Intervenne il Sommo Sacerdote che disse: “Separiamoli l’uno dall’altro, poi interroghiamoli di nuovo per vedere se le loro testimonianze concorderanno ancora”.

L’interrogatorio di Adas, Fines e Aggeo.

Venne chiamato per primo Adas, il rabbino e gli chiesero: “Rabbi, racconta a noi come Gesù è stato assunto in cielo?”. Adas disse a loro: “Vedemmo Gesù seduto sul monte mentre insegnava ai suoi discepoli, poi una nube scese dal cielo e li ricoprì tutti. Quando la nube si sollevò in cielo lui non c’era più. I suoi discepoli si prostrarono con la faccia a terra e ringraziavano Dio”.

Poi venne chiamato il sacerdote Finees, infine Aggeo il Levita. Essi raccontarono l’assunzione di Gesù nello stesso modo. Allora uno degli anziani si alzò e disse: “Nella Legge Mosè dispone che la testimonianza di due o tre persone conferma ogni fatto”.

Nel dibattito molti rabbini, sacerdoti, anziani presero la parola. C’era chi parlava di Enoch che si dice fosse stato preso da Dio.

Si parlava  della misteriosa morte di Mosè e di come nessuno era a conoscenza di dove fosse la sua tomba. Si interrogavano sul significato delle parole pronunciate da Simeone.

Dai banchi dei rabbini si levò una voce che disse al popolo del Signore: “Se si parlerà ancora di lui fino al prossimo giubileo, egli regnerà su tutti i popoli della terra in eterno”.

Poi l’assemblea del Sinedrio si sciolse. Cantarono tutti assieme gli inni ed ognuno se ne ritornò a casa sua tessendo le lodi a Dio, perché Sua è la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

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Sentenza Di Pilato

Sentenza che emise Pilato contro Gesù Cristo nostro Signore.

Copia della sentenza emessa da Pilato contro Cristo nostro Si­gnore ritrovata nella città dell’Aquila in Abruzzo, nell’anno 1580. Scritta su carta pergamena in lingua ebraica e così tradotta: Nell’anno 170 di Tiberio, Cesare Imperatore e nell’anno della 121° olimpiade, durante il consolato Romano di [….] e […], proconsole della Palestina, governatore della Giudea, [….] sotto la reggenza e governo della città di Gerusalemme.

Presiede Ponzio Pilato, reggente della Galilea Erode. Sommi Sacerdoti e reggenti del Tempio sono Anna e Caifa. Centurioni al servizio del console nella città di Gerusalemme sono [….] e [….] Addì il giorno 25 del mese di Mar­zo.

Sentenza

Io, Ponzio Pilato, presidente del tribunale, per conto dell’Impero Romano, giudico, e condanno a morte mediante crocefissione Gesù, chiamato Cristo Nazareno, del popolo della Galilea, uomo sovversivo della legge Mosaica e sedizioso contro l’Imperatore Tiberio Cesare.

Determino che venga crocefisso con chiodi come si usa con i malfattori. Ha creato tumulti per tutta la Galilea dichiarandosi figlio di Dio e re d’Israele, minacciando la rovina di Gerusalemme e quella dell’Impero.

Negava che il tribu­to a Cesare fosse dovuto ed ha avuto il coraggio di entrare come un re vittorioso in Gerusalemme seguito dalla folla fin dentro al Sacro Tempio. Io, Ponzio Pilato, comando al mio Centu­rione […..] di condurre per le strade di Gerusalemme Gesù, detto il Cristo, legato e flagellato, coperto con un mantello rosso e sul capo gli sia messa una corona di spine.

Che porti sulle spalle la sua croce come esempio per tutti i malfattori. Determino anche che con lui siano crocefissi due ladri e omicidi sul monte chiamato Calvario. Dopo morto che il corpo resti sulla Croce come spettacolo per tutti i malvagi.

Sulla Croce sia posto il titolo in tre linguaggi: Ebreo, Greco e Latino. Ebreo: Jesu aloi chisidin. – Greco: Jesus Nazareno. – Latino: Jesus Nazarenus Rex Judeoro.

Che nessuno si opponga e che venga fatta giustizia come da noi comandata ed eseguita con ogni rigore secondo i decreti e la legge. Chi sfiderà temerariamente la nostra volontà sarà considerato ribelle verso l’Impero Romano e subirà la stessa pena.

Testimoni di questa nostra sentenzia le dodici tribù di Israele.

Per il Sommo sacerdote: [……]

Per i Farisei: [……]

Per l’Impero Romano: […..]

Notai del tribunale: [……]

 

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Vangelo di Nicodemo (Sintesi e Adattamento)

– 1° parte –

Pilato, processo a Gesù.

Pilato non riusciva a trovare una via d’uscita a quella situazione che doveva fronteggiare su due fronti.

Un fronte era composto dalla folla dei Giudei, capeggiati da Anna e Caifa, riuniti sulla spianata fuori dal Pretorio. Nessuno di loro voleva entrare perché non volevano contaminarsi.

All’interno, invece, nel salone delle udienze, vi era l’altro fronte composto da alcuni anziani del popolo e da una folla di accompagnatori. Non tutti erano d’accordo con i sacerdoti. Al centro del salone il prigioniero in piedi.

Mentre Pilato sedeva sul suo scranno pensieroso sul da farsi, si presentò davanti a lui Nicodemo, un anziano Giudeo, conosciuto da tutti. Nicodemo chiese il permesso di parlare: “Salute a te governatore. Ti chiedo di lasciarmi dire alcune parole su questa questione”.

Nicodemo chiede di parlare.

Pilato si mostrò sorpreso, ad ogni modo accordò a Nicodemo il permesso di parlare. Nicodemo allora, prendendo la parola, disse: “Abbiamo lungamente discusso riguardo a quest’uomo nella Sinagoga fra noi Anziani, con i Sacerdoti, e alla presenza di tutta l’assemblea del Sinedrio. Io chiesi loro: Quali accuse muovete contro quest’uomo per volerne la morte?

Egli ha percorso le strade delle nostre città operando molti miracoli. Le gesta dei suoi prodigi hanno varcato i confini della nazione. Nessuno dei nostri padri, e nessuno dei nostri figli, ha mai fatto quello che ha fatto lui e mai lo farà.

Lasciamolo andare per la sua strada, dissi io, e non decidiamo alcunché a suo riguardo per non far ricadere su di noi il suo sangue. Se quello che fa viene da Dio, rimarrà, e noi non avremo assunto debiti con il Padre; se invece i suoi “prodigi” sono frutto di inganno di uomini, penserà il tempo a distruggerli.

I prodigi che Mosè fece davanti al Faraone, rimasero perché venivano da Dio. Lui lo aveva mandato davanti al Re d’Egitto e gli aveva detto quali segni doveva operare. Il Faraone antepose ai prodigi di Mose quello dei suoi sacerdoti.

Essi operarono una moltitudine di magie prodigiose, molte di più dei segni di Mosè, e il popolo d’Egitto, vedendo quelle meraviglie, li consideravano dei. Ma i segni che operavano non venivano da Dio, e tutti loro rimasero vittime delle loro stesse magie.

Ecco, ora, davanti a questa assemblea io dico: Lasciamo libero quest’uomo! Non ha fatto nulla per essere condannato a morte da noi. Lasciamo che sia Dio a giudicarlo”.

Ostilità dei Giudei.

I Giudei, che erano dentro al Pretorio, a quelle parole, scesero subito in tumulto e dissero con rabbia a Nicodemo: “Anche tu dunque sei diventato suo disce­polo per parlare in sua difesa?”

Rispose con fermezza Nicodemo: “Allora voi pensate che anche il governatore si è fat­to suo discepolo, perché afferma che non vede colpa in lui? Eppure noi sappiamo che è stato Cesare a porlo su quello scranno!”

Non si placava la rabbia dei Giudei contro Nicodemo. Allora Pilato intervenne nella discussione e disse loro: “Perché mormorate contro di lui minacce e insulti, non ha forse detto la verità?”.

I capi religiosi dissero rivolti a Nicodemo: “Che si prenda la sua verità, e anche il premio che gli è dovuto”. Nicodemo, con profonda delusione, vedendo la durezza dei loro cuori e la chiusura della loro mente si ritirò in disparte dicendo:

“E sia, che succeda come avete detto voi”.

Nel Pretorio, nel frattempo, era aumentata di numero la folla presente nel grande salone delle udienze. In molti avevano capito che quella battaglia si svolgeva su due fronti e molti di coloro che temevano i Giudei o non volevano prendere parte con loro nelle accuse, se volevano partecipare dovevano per forza entrare al cospetto del governatore.

Testimonianze a favore di Gesù.

Ritiratosi Nicodemo si fece avanti un uomo e chiese la parola. Il governatore gli rispose: “Se hai una testimonianza da raccontare, avanti parla”.

Il Giudeo disse: “Per tutta la mia vita sono stato tormentato da dei dolori e giacevo in un letto immobilizzato. Quando venne Gesù nella nostra città, egli guarì molti ammalati e scacciò demoni da chi ne era posseduto.

Molti furono da lui curati. Alcuni amici miei mi portarono al suo cospetto perché avevano compassione di me e speravano che lui potesse guarirmi.

Gesù, prima guardò me e poi i miei amici e si commosse, poi disse queste parole: Amico, alzati, prendi il tuo letto e torna a casa! E io da quel giorno camminai guarito dalla mia malattia”.

Allora i Giudei dissero a Pilato: “Chiedigli in quale giorno è stato guarito”. L’uomo disse: “Di sabato”. Allora trionfanti i Giudei affermarono: “Noi avevamo già da tempo affermato che costui è un peccatore e che infrange la nostra Legge. Egli cura gli ammalati di sabato quando è proibito!”.

Molti dei guariti da Gesù presero coraggio e si fecero avanti per portare la loro testimonianza: “Io ero cie­co fin dalla nascita. Mentre lui passava sulla via, invocai a gran voce la sua pietà, allora mi mise le mani sugli occhi e riacquistai la vista”.

Un altro disse: “ Io ero storpio, e lui mi ha risanato”. Un altro ancora: “Io ero un lebbroso, ed egli mi ha guarito”. Poi una donna disse: “Avevo un flusso di sangue e mi è bastato toccargli il mantello per guarire da una malattia che mi perseguitava da dodici anni”.

La rabbia dei Giudei.

I Giudei con clamore e rabbia sovrastando le voci dei testimoni dissero: “La nostra Legge dice che le donne non possono testimoniare ai processi”. Si levarono alte le proteste per queste testimonianze da parte della folla che era a favore di Gesù e alcuni gridarono a gran voce: “Governatore, quest’uomo è un profeta!”

Pilato con l’aiuto dei soldati ridusse alla calma i più scalmanati, poi, ottenuto il silenzio, chiese a chi aveva appena parlato: “Dimmi uomo, perché allora i vostri capi lo vogliono uccidere invece di essere seguaci della sua dottrina?”

Rispose l’uomo: “Nessuno di noi lo sa”. Dalla folla arrivarono anche altre testimonianze fra le urla e gli scherni dei Giudei. Pilato si alzò dallo scranno e rivolto ai Giudei che erano dentro al Pretorio disse: “Non capisco il motivo di tanto accanimento contro un innocente!”

Poi vedendo che con quei Giudei era impossibile ragionare si allontanò da loro e uscì sulla piazza.

 

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La Storia Di Giuseppe

Da: I Vangeli dell’Infanzia (Sintesi e Adattamento)

Gesù parla agli Apostoli.

“Fratelli miei, figli di Dio, ascoltate con attenzione. Il Padre che è nei cieli vi ha scelto fra gli uomini di tutti i popoli del mondo. Più volte vi ho rivelato che verrò consegnato ai Giudei per essere crocefisso, che la mia morte è necessaria per la salvezza di molti e che poi resusciterò.

Vi ho anche annunciato che voi andrete per le strade del mondo a annunciare il Vangelo e che quando ritornerò al Padre invierò su di voi lo Spirito Santo, e la sua potenza vi guiderà nella predicazione in tutte le nazioni, e ai popoli che incontrerete direte quello che io dissi a voi:

Amatevi gli uni e gli altri, perdonate i peccati, fate penitenza!

E’ più importante essere limpidi come un bicchiere d’acqua pura nella vita che verrà, piuttosto che avere ora tutte le ricchezze in questo mondo.

E’ molto importante il terreno che contiene l’impronta di un solo piede nella casa del Padre, di tutti i terreni e le case di questo mondo.

Il tempo in cui i giusti gioiscono e più importante, anche se breve, che un’intera vita, anche se lunga, per i peccatori, se questi quando piangeranno e soffriranno non avranno chi asciughi loro le lacrime, o li consoli dagli affanni.

Ebbene, quando sarete presso di loro, dite così: Con una giusta misura la bilancia della giustizia regolerà il vostro conto.

Il Padre osserverà tutto quello che avete detto e fatto, e anche le parole inutili saranno esaminate e rese manifeste.

Così come non ci si può sottrarre alla morte, cosi nessuno può sottrarsi all’esame dei suoi pensieri e delle sue opere.

Non servirà all’uomo forte la sua forza per salvarsi; e nemmeno all’uomo ricco serviranno le sue ricchezze, ancorché abbondanti, per potersi salvare.

E dite a tutte le genti che io siedo alla destra del Padre e giudicherò le tribù del mondo con giustizia e misericordia.

Ma che nessuno si vanti davanti al Signore di questo o di quello perché chi si innalza sarà abbassato: Ci si vanti piuttosto del Padre.

Inizio della storia di Giuseppe.

Ora è tempo che vi racconti la vita di mio pa­dre Giuseppe, della città di Betlemme, della tribù di Giuda, e della discendenza di re Davide.

Egli era un uomo preparato nelle dottrine e ne osservava con saggezza gli insegnamenti. Esercitava l’arte del falegna­me e viveva con il lavoro delle sue mani come prescrive la legge di Mosè.

Giuseppe, alla giusta età, andò sposo ad una donna e da lei ebbe figli e figlie. Poi rimase vedovo. Sua moglie morì, come succede a uomini e donne, quando il figlio minore, Giacomo, era ancora molto piccolo.

Era un uomo giusto Giuseppe. Esercitava il mestiere di falegname e da quello traeva il sostentamento per la sua famiglia. Andava ovunque fosse necessario, anche in paesi lontani.

I sacerdoti decidono il destino di Maria.

Due dei suoi figli, dato che erano già in età, lo aiutavano nel lavoro, e lo seguivano nei cantieri. Nei giorni della vedovanza di mio padre, Maria, mia madre, era ancora nel Tempio a compiere i suoi servizi in castità e purezza.

In quel tempo aveva già gli anni per essere promessa in sposa secondo le tradizioni. I sacerdoti tennero consiglio tra di loro e alla fine dissero: “Cerchiamo un uomo degno fra tutti gli uomini della casa di Israele, affideremo Maria a lui finché venga il tempo del matrimonio come sua promessa sposa.

Che non accada che arrivi il tempo della sua impu­rità mentre si trova ancora ospite del Tempio, e che non ci capiti di macchiarci di un così grave peccato”.

Subito essi chiamarono a raccolta le dodici tribù d’Israele e dalla tribù di Giuda, secondo tradizione, fu scelto Giuseppe. I sacerdoti gli affidarono mia madre. Lei andò con lui nella sua casa per rimanervi fino al giorno del loro matrimonio.

Giuseppe in obbedienza a quanto era stato decretato accolse mia madre nella sua casa. Ella si preoccupò di allevare Giacomo perché era ancora molto piccolo e orfano della mamma.

Giuseppe continuava nel suo mestiere di falegname e a quel tempo i cantieri di lavoro erano in paesi lontani. Passarono così due anni, finché giunse il tempo della sua gravidanza. Giuseppe, in quei giorni, era di ritorno da uno dei suoi tanti viaggi di lavoro.

Vedendo che mia madre era  incinta fu preso da paura. Sconvolto di incorrere nell’ira dei sacerdoti del Tempio pensò di rimandarla nottetempo affinché nessuno vedesse. Ma il mio Padre celeste aveva altri disegni per lui.

Gabriele, il censimento di Cesare Augusto, l’esilio.

Di notte, gli mandò in sogno l’Arcangelo Gabriele per dirgli queste parole: “Giuseppe, figlio di Davide, non aver paura di prendere in sposa Maria, perché quello che è nel suo ventre è il frutto della volontà divina.

E quando verrà alla luce gli metterai nome Gesù. Egli sarà il pastore di tutti i po­poli della terra e li guiderà con uno scettro di ferro”.

Giuseppe, destatosi dal sonno, seguì le indicazioni dell’angelo, e tenne presso di se Maria, mia madre. In quei giorni, Cesare Augusto, l’Imperatore di Roma, ordinò che si fa­cesse un censimento di tutto il popolo, e che ciascuno si registrasse nella sua città di nascita. Giuseppe si mise in cammino, e condusse con lui Maria, mia madre, nella città di Betlemme.

Al censimento fece registrare mia madre come sua moglie ed io Gesù, suo figlio, della stirpe di Davide e della tribù di Giuda. Io nacqui a Betlemme in una stalla scavata nella roccia, nei pressi del sepolcro di Rachele, moglie del patriar­ca Giacobbe, madre di Giuseppe e di Beniamino.

Ma, sempre in quei giorni, Satana instillò rabbia ed invidia nel cuore di Erode. Egli mi fece cercare dai soldati per uccidermi pensando che io fossi Re di un Regno di questo mondo. Giuseppe venne avvisato da mio Padre in sogno e noi partimmo per l’Egitto immediatamente assieme a Salomè la levatrice.

Ritorno a Nazareth.

Rimanemmo in quelle terre finché non giunse anche a noi la notizia della morte di Erode. Dopo la sua morte ci mettemmo in viaggio e andammo a Nazareth, città della Galilea.

Qui ci stabilimmo. Mio padre Giuseppe aprì la sua bottega dove continuava a fare il mestiere del falegname e con il lavoro delle sue mani procurava a tutta la sua famiglia un decoroso sostentamento.

Osservava le leggi e come Mosè indicava, egli non mangiò mai il pane frutto del lavoro di altri. Così passarono gli anni. Giunsero i giorni della sua vecchiaia. Benché fosse molto avanti con gli anni il suo corpo era ancora vigoroso.

Gli occhi non si erano indeboliti nella vista, e aveva ancora tutti i denti sani in bocca. Non smarrì mai il senno, agiva con la saggezza di un uomo ancora giovane, sebbene fosse arrivato al traguardo di una venerabile età.

I suoi due figli, Giusto e Simeone, arrivarono a sposarsi e con le loro mogli si costruirono una casa tutta loro. Così anche le due figlie, Lidia e Lisa,  si ma­ritarono, ed andarono ad abitare nella casa dei rispettivi mariti così come è naturale che avvenga.

Alla fine, rimase solo Giacomo, il più piccolo, in casa con mio padre e mia madre Maria. Quando Giuseppe si ammalò, un Angelo lo avvertì che la morte era alla sua porta così come è stabilito che avvenga per tutti gli uomini. Una grande emozione lo prese e la sua anima era in tumulto.

Discorso di Giuseppe.

Andò allora di buon mattino a Gerusalemme, entrò nel Tempio del Signore, e giunto presso l’altare pregò il Padre che è nei cieli così: “Signore, Padre misericordioso di tutti gli uomini e Signore delle anime, Dio del mio corpo e del mio spirito, a Te rivolgo la mia supplica.

Come ben sai, il tempo dei miei giorni su questa terra è giunto al termine. Per questo, Signore del cielo e della terra, ti chiedo di mandarmi Michele, uno dei tuoi Angeli prediletti, perché assista la mia anima nella sua uscita dal corpo, nel giorno da te scelto, senza dolore e tormento.

Quando il giorno del trapasso arriva gli uomini e le donne di questo mondo vengono presi da grande paura e da un dolore che li attanaglia per tutto ciò che lasciano, e questo succede anche agli animali, sia che siano domestici o sia che siano selvatici.

Questo grande dolore è per tutte le tue creature di questa terra. Il distacco dell’anima dal corpo è l’ultimo alito di vita su questo mondo, per questo Ti chiedo che Michele mi assista fino al mio ultimo respiro, così che la mia anima lasci il corpo, e questi si possano separare in pace e armonia.

E fa che l’Angelo che hai destinato come custode della mia anima non se ne abbia, ma che invece rivolga verso di me un viso pacifico e sereno, e che anche lui mi accompagni presso di Te.

Durante questo ultimo viaggio fa che coloro che non sono degni di Te, e che non potranno mai arrivare alla Tua presenza, non mi tormentino, o che ci sia chi sequestra la mia anima con falsi sorrisi, e ingannevoli parole.

Non lasciare che io sia portato davanti ad un falso tribunale presieduto da falsi giudici, dove testimoni corrotti chiedono il mio arresto, e fa che essa non sia confusa con altre quando sarà davanti al tuo tribunale.

Non lasciare che anime ardenti di fare la Tua volontà mi lancino addosso il fuoco incandescente che scorre nel grande fiume dove si devono purificare tutte le anime prima di arrivare davanti a te e vederti nella Tua gloria.

O mio Signore, tu che giudichi in Verità e in Giustizia, chiedo, che la Tua misericordia scenda su me per portarmi conforto in questa prova. Tu che sei la fon­te dalla quale discende ogni bene sulle creature e ad ognuno dai ciò che gli spetta. A te Signore la vita, a te la morte, a te la gloria in eterno. Amen”.

Giuseppe parla con Gesù.

Poi Giuseppe se ne ritornò a Nazareth, e si coricò gravemente ammalato nel suo letto in attesa che la morte lo cogliesse.

Tutti noi accorremmo per un ultimo saluto, ed egli appena mi vide disse, nel suo affannoso respiro: “Figlio, la paura della morte stava per rubarmi l’anima ma adesso che ha sentito la tua voce si è tranquillizzata.

Figlio, mio Signore, io non avevo mai compreso come era potuto avvenire il Tuo concepimento perché mai si era sentito dire che una donna avesse partorito vergine.

Ora tutto questo non è più un mistero. Gloria a te, mio Signore, e gloria a tua madre Maria che ti ha generato”.

Maria e Gesù.

Maria si avvicinò al lettuccio con gli occhi colmi di lacrime mentre già si vedevano i segni della morte su mio padre Giuseppe, e disse con il cuore pieno di dolore: “Tutti dobbiamo dunque morire? A nessuno e concesso di andare nella vita eterna, con il merito delle sue opere, senza passare per questo affanno?”.

A questa domanda risposi: “Su tutte le creature di questo mondo, su tutti gli uomini, e su tutte le donne, la morte è una necessità. Essa è la regina nella vita di tutti e arriverà a bussare anche alla tua porta. Anche per me ci sarà quel giorno. Nessuno la può evitare!”. 

Morte di Giuseppe.

Poi, mio padre esalò il suo ultimo respiro. Quando i miei fratelli videro che il loro padre era trapassato piansero lungamente.

Anche gli abitanti di Nazareth accorsero per il lutto, e gente, veniva dalle città della Galilea. Era usanza dei Giudei fare lunghi lamenti, e li fecero dall’ora terza all’ora nona.

Poi si presentarono i sacerdoti e i capi della città a rendergli un ultimo omaggio prima della tumulazione, là dove erano sepolti i suoi padri.

Avevamo già preparato il suo corpo per la sepoltura secondo l’usanza e gli incaricati al funerale lo trovarono già pronto.

Discorso sulla morte di Gesù

Poi mentre gli operai scavano per aprire l’ingresso alla grotta io dissi queste parole: “O morte, che non hai riguardo di nessuno e per te si versano tante lacrime e si levano tanti lamenti! Questo tuo potere ti è dato dal Padre celeste, Signore e creatore di tutte le cose.

E il mio lamento non si leva contro di te, ma con­tro Adamo e la sua donna che ti hanno dato vita e resa necessaria. Infatti non è in tuo potere decidere di nulla senza che sia il Padre a comandarlo.

Vi sono dei giusti che hanno vissuto molto a lungo prima di morire, e altri ancora più a lungo. Ma durante la loro vita non hanno mai detto, a chicchessia, di aver visto in faccia la morte, o che abbia dato a qualcuno strazio.

Si presenta una sola volta: Quando il Padre la comanda! E solo quando scende da colui che deve prendere conosce il giudizio del Signore.

Se il giudizio è infausto essa genera un tormento impetuoso sull’anima che viene ad afferrare per portarla via con se.

Ma essa non ha nessun potere per decidere dove condurla, se alla perdizione o nel Regno di Dio. La morte esegue soltanto gli ordini che le da il Padre celeste.

E io stesso devo gustare la morte perché si compiano con me i disegni misericordiosi del Padre mio e Padre vostro. Nessuno ha il potere di abolire la morte e nessuno la può evitare”.

Dopo aver ascoltato tutto questo il nostro cuore si colmò di gioia. Tributammo al nostro Salvatore lodi e ringraziamenti, come nostro Signore. Gloria a Lui per l’eternità. Amen

 

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(Cap. 5) Annuncio della nascita di Gesù.

(Lc. 1-26,38; Mt. 1-18,25)

Protovangelo di Giacomo il minore. Vangelo dello Pseudo Matteo. Vangelo dell’infanzia Armeno. ( Sintesi e Adattamento)

 Gabriele incontra Maria.

Quando giunse il sesto mese della gravidanza di Elisabetta, Dio, mandò l’Arcangelo Gabriele presso una città della Galilea chiamata Nazareth, dove abitava Maria, la vergine promessa sposa a Giuseppe, della casa di Davide.

Maria, quel giorno, era uscita di casa con una brocca circa all’ora sesta. Mentre andava ad attingere acqua al pozzo sentì una voce venire dal cielo che la chiamava: “Salute a te o piena di grazia! Luce agli occhi del Signore. Il Signore è con te, benedetta fra tutte le donne”.

Nel sentire quella voce, Maria si guardò attorno, ma non vide da dove venisse. Si turbò nell’animo. Percorsa da un fremito di paura ritornò immediatamente a casa. Appoggiò la brocca e riprese a filare i tessuti per la tenda del Tempio seduta sul suo sgabello.

Nella quiete della sua casa l’angelo del Signore, Gabriele, si manifestò davanti a lei e le disse: “Salute a te, o piena di grazia, il Signore è con te. Non aver paura di me Maria, io sono Gabriele, messaggero del Signore che è nell’alto dei Cieli”.

Maria si turbò profondamente nell’animo. Lei sapeva in cuor suo che era giunto il tempo che si compisse la volontà di Dio: “Salute a te Gabriele, a che debbo la tua visita. E’ forse giunto il tempo della chiamata del Signore?”. “Si, Maria, questi sono i giorni in cui si compiono i disegni del Signore. Tu concepirai un figlio per opera della sua volontà!”.

Annuncio della nascita di Gesù.

Nel sentire queste parole Maria rimase molto turbata. L’angelo Gabriele le disse ancora: “Non temere Maria di esaudire la volontà del Padre dei Cieli. Tu concepirai nel grembo e darai alla luce un figlio. Lo chiamerai Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo.

Il Signore Dio gli darà il trono di Davide, e regnerà sulla casa di Giacobbe in Eterno. E il suo regno non avrà mai fine”.

Udendo le parole di Gabriele, ella rimase perplessa dentro di se e domandò di nuovo: “Avrò un figlio per opera del Signore? Partorirò come partorisce ogni donna?”. Rispose Gabriele, l’inviato del Signore: “Non cosi Maria. Verrai avvolta dalla potenza del Signore, e l’essere che nascerà da te sarà chiamato figlio dell’Altissimo. Egli viene per riportare gli uomini sulla strada della salvezza dai peccati”.

Per Maria le parole dell’angelo Gabriele erano difficili da comprendere e quindi chiese ancora: “Come avverrà che io rimanga incinta? Non conosco uomo!”.

L’angelo le rispose: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti avvolgerà con la sua ombra. Sarai circondata dalla potenza del Signore. Il figlio che nascerà da te, anch’esso sacro, sarà chiamato Santo, Figlio di Dio, l’Altissimo, e tutto il mondo conoscerà questo.

Elisabetta, tua parente, ha concepito un figlio nella sua vecchiaia. Lei, che era ritenuta sterile, è al sesto mese della sua gravidanza. Nessuna cosa è impossibile a Dio”.

Maria discute con Gabriele.

Maria era sempre più turbata e si rendeva conto di cosa l’aspettasse. Allora disse queste parole: “Io sono la serva del Signore e mi inchino alla sua volontà; si faccia di me come hai detto tu, anche se a me sembra cosa straordinaria. I prodigi di cui tu parli sono meravigliosi a raccontarsi ma inverosimili nella vita”.

Gabriele le rispose: “Perché ti turbi così tanto? E perché trema il tuo animo? Ricordati di Mosè, di Abramo, di Giacobbe, e di tanti profeti ai quali Dio ha manifestato la sua volontà”.

Queste parole suonarono alle orecchie di Maria come un biasimo alla sua incredulità, chinò il capo e disse: “Che avvenga dunque secondo la tua parola e secondo la volontà dell’Altissimo”.

L’angelo Gabriele, così come le era apparso, svanì, e lei, Maria, finì di lavorare la porpora e lo scarlatto. Animata da una forza nuova, li portò al Tempio.

Venne accolta dal Sommo Sacerdote Zaccaria. Questi vedendo la bellezza del suo lavoro e la radiosità del suo sorriso, la benedisse, poi in estasi le disse queste parole profetiche: “Maria, il Signore Iddio ha glorificato il tuo nome davanti a se stesso e tu sarai benedetta da tutte le generazioni della terra.

Da te verrà la salvezza di tutto il mondo. Il Signore glorificherà il tuo santo nome come Madre dell’umanità”.

Inizio della gravidanza di Maria.

Era il giorno quindici di Nisàn, il sesto giorno del mese di Aprile. Mercoledì, alla terza ora, iniziò la gravidanza di Maria. Ed ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo.

Essendo sua madre Maria, fidanzata a Giuseppe, prima di iniziare la convivenza del matrimonio si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo.  Giuseppe, suo promesso sposo, era un uomo giusto e non voleva denunciarla davanti al popolo per non umiliarla, pensò quindi di licenziarla in segreto e rinunciare al matrimonio.

Un angelo appare a Giuseppe.

Mentre pensava a queste cose e non aveva ancora deciso cosa doveva fare, gli apparve in sogno un Angelo del Signore che gli disse: “Giuseppe, Giuseppe, figlio di Davide. Non aver timore di prendere Maria in sposa, perché quel che nascerà da lei è opera dello Spirito Santo. Darà alla luce un figlio e gli porrai nome Gesù. Egli infatti salverà gli uomini dai loro peccati. Questa è la volontà dell’Altissimo!”.

Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “La vergine concepirà e partorirà un figlio e gli si darà il nome di Emmanuele: Dio con noi”.

Destatosi, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé nella sua casa Maria come sposa; e non la conobbe finche diede alla luce il figlio; al quale pose nome Gesù.

 

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La Nascita Di Maria

Protovangelo di Giacomo (il minore) – Vangelo dello Pseudo Matteo – Il libro sulla natività di Maria (Sintesi e Adattamento)

Gioacchino, padre di Maria.

Nei racconti delle dodici tribù d’Israele, si narrava di Gioacchino e Anna, sua moglie, entrambi della tribù di Giuda. Lui era un ricco allevatore, semplice e buono di animo. La loro storia inizia nei giorni prossimi alla festa della Dedicazione.

Gioacchino saliva a Gerusalemme, portando ricche offerte, per onorare la festa, come era solito fare tutti gli anni, assieme ad alcuni della sua tribù e a tanti figli d’Israele. Era un uomo di grande fede e molto generoso.

I doni al tempio di Gerusalemme li faceva in misura abbondante dicendo: “Quello che offro in più di quanto stabilito dalla tradizione, sia devoluto a tutto il popolo, e quello che do per la mia espiazione, secondo la misura che mi compete, sia per il Signore, al fine di renderlo attento alla mia vita”.

Ma Ruben, uno scriba del tempio, intransigente sulla tradizione, si piantò davanti a Gioacchino e guardando con disprezzo i suoi doni  gli disse queste parole: “Non è lecito che tu presenti le tue offerte e chieda i favori dell’Altissimo assieme a noi, perché non hai generato discendenza in Israele, come hanno fatto i nostri padri, e i padri dei nostri padri.

Non puoi pensare che essi siano accettati da Dio? Tu non hai figli, e hai la presunzione di stare fra noi fecondi, nonostante che Dio stesso non ti abbia ritenuto degno di generare!”.

Gioacchino aveva come moglie Anna, figlia di Isachar della stirpe di Davide, sposata secondo i riti nel giusto tempo, ma non ebbe da lei, in vent’anni di matrimonio, ne figli ne figlie.

Si rattristò profondamente per le parole pronunciate dallo scriba e con il cuore in tumulto pensò di cercare nei registri delle dodici tribù del popolo per accertarsi se le parole dette da Ruben corrispondessero al vero; “Voglio vedere se è scritto nei libri delle dodici tribù che solo io non ho generato prole in Israele”. Disse tra sé e sé.

Cercò nell’archivio e trovò, con immenso dispiacere, che tutti i giusti avevano avuto discendenti in Israele. Si ricordò del patriarca Abramo, al quale, solo nella sua vecchiaia, Dio aveva concesso un figlio: Isacco.

Con il cuore gonfio di dolore, e colmo di vergogna, non si presentò a sua moglie Anna, ma si ritirò fra i monti del deserto. Piantò la sua tenda in quell’immensa landa desolata e digiunò per quaranta giorni e quaranta notti mormorando fra sé: “Rimarrò qui senza mangiare e bere, finché il Signore, mio Dio, non mi avrà fatto la grazia di generare figli, e la preghiera sarà per me cibo, e bevanda saranno le mie lacrime”.

Anna, madre di Maria.

Anna, informata da alcuni messi sulla decisione presa da suo marito, si abbandonò ad uno straziante lamento: “Piangerò per tutti i quaranta giorni della mia vedovanza”. E diceva ancora, “Piangerò per tutta la vita della mia sterilità”.

In lei, in quel momento di grande afflizione, vi era il pensiero che non avrebbe mai potuto avere figli, e che non avrebbe più rivisto suo marito.

Giunse nel frattempo il gran giorno del Signore e tutto il popolo si preparava per la festa. Judit (Giuditta), la sua serva, le disse: “Fino a quando piangerai sulla tua condizione con l’animo abbattuto? Il gran giorno del Signore è venuto e non è giusto per te stare in angoscia, anche tu devi rendergli grazia con animo lieto.

Orsù, prendi questo nastro per i capelli, che mi ha regalato la padrona della bottega, per me non è conveniente indossarlo. Io sono solo una serva e questo nastro è degno di una regina”.

“Vattene via da me con queste tentazioni!”, le rispose Anna, “io non ho mai fatto cose di questo genere, e poi il Signore mi ha già umiliata abbastanza. E poi magari te l’ha data un tuo amante; e tu vuoi farmi partecipe della tua sconvenienza”.

“Quale maledizione più grande di questa posso io augurarti”, esclamò Giuditta risentita dalle parole dette a sproposito da Anna: “Se il Signore ti ha reso sterile in modo che tu non possa generare figli per Israele, è una grande condanna, ed io non ho colpa in questo!”.

Lamentazioni di Anna.

Anna, nel sentire le parole dette da Giuditta, si rese conto del suo errore e ne fu afflitta. Si fece forza, si spogliò delle vesti da lutto, si cosparse il capo con profumi, indossò abiti degni di una sposa, uscì di casa e si offrì agli occhi del mondo e a quelli del Signore.

Si sedette sotto ad una pianta di alloro, e con il cuore gonfio di tristezza  implorò il Signore con queste parole: “Oh Signore, Padre dei nostri padri, benedici la tua serva ed accogli la sua preghiera, come hai benedetto, con la tua immensa benevolenza Sara, che ha generato nella sua tarda età un figlio: Isacco!”.

Sentendo poi un cinguettio venire dall’alto alzò lo sguardo verso il cielo e vide sulla pianta un nido di passeri con alcuni piccoli. A quella vista iniziò un lamento fra sé e sé: “O Signore Dio onnipotente, che ad ogni creatura hai fatto il dono dei figli. Dalle bestie feroci ai giumenti, dai serpenti ai pesci, e infine agli uccelli.

Tutti questi gioiscono per la maternità che concede in dono i figlioli, dunque: Solo me escludi da questo dono benigno? Perché un così misero destino?

Povera me! Di chi sono figlia? Quale è il ventre che mi ha concepita? E’ per questo che io sono diventata una maledizione dinnanzi ai figli d’Israele. Essi mi hanno allontanata con ingiurie dalla Casa del Signore!

Povera me! A chi dunque assomiglio? Non sono simile agli uccelli del cielo, perché anche gli uccelli del cielo generano prole al tuo cospetto, o Signore.

Povera me! Non sono come gli animali della terra, perché tutti loro hanno figli e figlie davanti a te, o Signore.

Povera me! Nemmeno a queste acque sono simile, perché anche da queste acque si genera prole davanti a te, o Signore.

Povera me! Non assomiglio a questa terra, perché anche da questa terra dei nascono frutti in tutte le stagioni, o Signore”.

Un Angelo consola Anna.

Mentre Anna era tutta presa dalle sue lamentazioni, le apparve un Angelo del Signore che le disse queste parole: “Anna, Anna, non temere. Il Signore ha ascoltato la tua preghiera e ti ha benedetta. Anche tu avrai un figlio. Della tua prole si parlerà in tutte le nazioni del mondo con rispetto e ammirazione”.

Anna piena di soggezione e con il cuore gonfio di felicità rispose all’Angelo chinando il capo: “Io sono l’umile serva al cospetto del Signore e come è vero che vive il Signore mio Dio, mio figlio, che sia maschio o che sia femmina, lo offrirò al Signore mio Dio. E se lo desidererà, potrà mettersi al suo servizio per tutto il tempo della sua vita”.

Poco dopo due giovani giunsero alla casa di Anna in veste di messaggeri e le portavano notizie di suo marito Gioacchino: “Anna, presto, Gioacchino, tuo marito, sta tornando con le sue mandrie. Preparati ed accoglilo con gioia.

Un Angelo del Signore gli è apparso e gli ha detto che un grande evento si prepara per la sua casa con queste parole: “Gioacchino, il Signore Iddio ha ascoltato la supplica che gli hai rivolto e ha esaudito la tua preghiera di avere un figlio. Scendi da questo monte, i giorni delle invocazioni sono finiti poiché tua moglie Anna concepirà un figlio”.

Gioacchino ritorna a casa.

Gioacchino seguì prontamente il comando che gli aveva dato l’Angelo. Ritornò alla sua casa, chiamò i servi e i pastori, poi comandò loro: “Portatemi dieci agnelli senza difetti. Essi saranno dati in sacrificio per il Signore nostro Dio”.

Poi chiamò i custodi dei buoi e disse anche a loro: “Andate fra i miei buoi e scegliete dodici giovani vitelli e portatemeli. Saranno dati in dono ai Sacerdoti ed agli Anziani del Tempio”.

Chiamò anche i pastori delle capre e li esortò ad eseguire questo suo ordine: “Portate davanti a me cento capretti. Saranno immolati per il banchetto di ringraziamento al Signore Dio mio. Inviterò tutto il popolo perché voglio che la festa sia festa per tutti”.

Gioacchino ritornò alla sua casa seguito dalle greggi e dai pastori. Sua moglie Anna lo aspettava sulla soglia di casa vestita con gli abiti nuziali più belli che aveva. Il suo viso risplendeva di gioia.

Vedendo suo marito arrivare, gli corse incontro e lo abbracciò fortemente stringendolo a sé, mentre copiose lacrime di felicità bagnavano le sue guance. Poi disse queste parole: “Ora so che il Signore Iddio ha volto il Suo sguardo sulla nostra casa. Io ieri ero vedova, e oggi non lo sono più.

Io, che ero senza la speranza di avere figli, concepirò nel mio ventre. Benedetto sia il Signore, Dio d’Israele e di tutte le genti, che ha accolto la nostra preghiera e ha fatto scendere su da noi la Sua grande misericordia”.

Gioacchino al Tempio.

Da quel giorno Gioacchino riposò di nuovo nella sua casa. Scesa la sera invitò tutti i suoi amici e i vicini al grande banchetto che aveva organizzato per festeggiare la benevolenza del Signore.

Tutti mangiarono e bevvero in allegria intonando canti, poi dopo aver reso grazie al Signore ognuno degli invitati se ne ritornò alla propria casa.

Il giorno seguente, mentre presentava le sue offerte al tempio, Gioacchino diceva tra sé: “Se il Signore Iddio è il mio custode, mi manderà un segno di luce con la placca d’oro del sacerdote”.

In attesa di un segno, Gioacchino, fissava attentamente la lamina d’oro del sacerdote, e quando questi si avvicinò all’altare del Signore un riflesso di luce accecante lo abbagliò. Quello era ciò che aspettava. Non vide nessun peccato in lui e fu certo che il Signore Iddio, avrebbe mantenuto fede alla sua promessa.

Gioacchino pensò tra sé e sé: “Ora conosco la volontà del Signore e so anche che ha perdonato tutti i miei peccati”. Uscì dal Tempio con il cuore pieno di allegrezza e lodando le virtù del Signore fece ritorno a casa.

Nascita di Maria, figlia di Anna e Gioacchino.

Passarono i mesi della gravidanza di Anna, poi giunto il nono ella partorì. Era l’ora settima del ventunesimo giorno del mese di Elùl, l’otto settembre. Anna, terminato il travaglio, domandò alla levatrice: “Che figlio ho messo al mondo?”.

La donna prese la neonata fra le braccia e mostrandola alla madre le rispose: “Una bellissima femmina”. Anna, ricordando la promessa del Signore, esclamò: “Oggi la mia anima e stata glorificata! Anch’io ho generato prole in Israele e la mia vergogna dinnanzi al popolo è finita”.

Poi pose la bimba nella culla. Trascorsi i giorni, che la legge prescriveva, Anna si purificò, e diede a sua figlia il nome di Maria.

Quando la bimba ebbe sei mesi, la madre pose Maria a terra per vedere se riusciva già a camminare. La piccola fece alcuni passi e le tornò in grembo. Anna la riprese fra le sue braccia dicendo: “Oggi faccio una promessa al Signore mio Dio: Tu non poggerai più il tuo piede su questa terra, fino al giorno che ti condurremo al Tempio del Signore secondo la promessa fatta”.

Le arredò la sua camera da letto come se fosse un santuario e non permetteva alla bimba di toccare cose profane o impure. Concesse a delle fanciulle ebraiche, senza macchia, di trascorrere giorni e notti a giocare con lei.

Giunto il primo compleanno della bambina, Gioacchino organizzò un grandioso ricevimento al quale invitò Sacerdoti, Scribi, il consiglio degli Anziani e tanti fra il popolo d’Israele.

Presentò la bambina a tutti gli invitati. I sacerdoti la presero fra le loro braccia e la benedirono con questa formula: “Dio dei nostri padri, Dio di tutte le genti, poni la tua benedizione su questa bambina e fa che abbia un nome glorificato in eterno da tutte le generazioni”.

Le profezie dei sacerdoti.

Tutto il popolo presente recitò in coro: “Così sia! Così sia per l’eternità! Amen”. I Sommi Sacerdoti, a loro volta, terminarono la funzione della benedizione dicendo: “O Dio Santissimo, dall’alto dei cieli rivolgi il tuo sguardo benigno e misericordioso su questa bambina e benedicila con la suprema delle benedizioni, quella che non ne ha altre dopo di sé”.

Poi Anna portò Maria nella sua cameretta e mentre le dava la poppa levò un inno al Signore Iddio: “Innalzerò una lode al Signore mio Dio, Lui che più di ogni altro mi ha guardata con amore e ha allontanato da me il disonore con il quale i miei nemici mi avevano ricoperta”.

Si affacciò alla finestra della cameretta di Maria, e mentre allattava la piccola, rivolgendosi agli invitati alla festa, disse: “Udite, udite, popolo d’Israele, il Signore ha fatto nascere in me il frutto della sua giustizia, che è unico e complesso innanzi a Lui per i secoli dei secoli.

Chi andrà dai figli di Ruben a dire che Anna allatta? Udite, udite, voi dodici tribù d’Israele: Anna allatta!”.

Quindi Anna mise Maria a dormire nella camera trasformata in santuario e ritornò fra gli ospiti della festa e riprese a servirli. Quando Maria compì due anni, Gioacchino disse ad Anna: “Portiamo Maria al Tempio del Signore. Dobbiamo mantenere la promessa che abbiamo fatto alla sua nascita.

Lo dobbiamo fare prima che il Signore ci mandi un Angelo e ce la richieda. Non ci deve succedere che la nostra offerta non sia più ben accetta a Lui e noi si diventi ai suoi occhi indegni e perversi.”.

“Aspettiamo che arrivi ai tre anni d’età”, rispose Anna, “quando avrà meno bisogno del babbo e della mamma”. Rispose Gioacchino convinto: “Va bene, aspettiamo i tre anni”,  sapendo bene che anche Anna era fermamente decisa di mantenere la promessa.

Maria era oggetto di ammirazione e tutti erano pieni di meraviglia per la sua precocità. Pur essendo una bambina di appena tre anni di età, Maria camminava con passo spigliato e sicuro. Parlava perfettamente tanto da suscitare stupore in tutto il popolo. Giunsero infine i giorni nei quali Maria compì tre anni.

Maria al Tempio.

Gioacchino, venuto il tempo di mantenere la promessa, disse: “Chiamate delle figlie di Ebrei. Quelle tra di loro che sono pure prendano una fiaccola. Stiano composte nel camminare ed accompagnino Maria con la torcia accesa all’interno del Tempio affinché non succeda che la bambina si volti indietro spaventata ed esca dal Tempio del Signore”.

Le giovani che accompagnavano Maria giunsero con lei al Tempio del Signore, si spogliarono degli abiti da viaggio e sotto, secondo l’usanza, indossavano le loro vesti più belle e linde.

All’interno del Tempio il Sommo Sacerdote accolse Maria. Le lavò le mani come dettavano le usanze, la baciò e la benedisse dicendo queste parole: “Il Signore ha reso gloria al tuo nome per le generazioni future, e sarà in te, che alla fine dei tempi il Signore porrà la sua redenzione per  tutti i figli d’Israele”.

Poi la issò sul terzo gradino dell’altare. Il patto era che se Maria si fosse voltata verso i genitori sarebbe ritornata alla sua casa. Se invece fosse andata all’altare sarebbe rimasta nel Tempio con fanciulli e fanciulle per essere educata ed allevata in timor di Dio.

E il Signore Iddio fece scendere su di lei la sua grazia e questo è quello che videro i figli di Israele riuniti nel tempio: Ella danzava e rideva di felicità, e i suoi piedi sfioravano appena i gradini dell’altare. Tutta la casa d’Israele era affascinata da lei  e dalla sua grazia.

Gabriele incontra Maria al Tempio.

E questo invece è quello che vide Maria: La grazia del Signore, nelle vesti dall’Arcangelo Gabriele, scese nel Tempio per accoglierla.

Il maestoso Angelo pose un ginocchio a terra per meglio avvicinarsi al viso sorridente di felicità della piccola Maria e la salutò con queste parole: “Salute a te Maria, piena di grazia, luce agli occhi del Signore, un grande compito ti aspetta, va dunque incontro al tuo destino”.

Maria fissò il suo sguardo in quello di Gabriele e con il viso raggiante di felicità rispose queste parole che chi guardava confuse con risa di bimba: “Ti ringrazio Gabriele, inviato del Signore, che si compia dunque la Sua volontà. Tornerai ancora da me?”.

L’Arcangelo mise fra i capelli di Maria un piccolo fiore bianco come la sua veste immacolata e con il gambo color dell’azzurro dei cieli infiniti, poi le disse queste parole: “Al giusto tempo ritornerò. Questo è il pegno per la promessa che ti ho fatto”.

Poi, Gabriele, l’Arcangelo, svanì come era apparso. I genitori di Maria tornarono alla loro casa pieni di soddisfazione, ringraziando il Signore perché la bambina era andata incontro al suo destino.

Maria istruita nel Tempio.

Maria rimase nel Tempio, dove, si diceva, che fosse allevata come una colomba e che ricevesse il cibo dalla mano di un Angelo. Così iniziò il tempo della sua preparazione.

Lei conservava nel cuore il ricordo dell’incontro con l’Arcangelo Gabriele. In quello stesso anno un grande cordoglio si diffuse per tutta la nazione. Morì il Sommo Sacerdote Elèazar, e per il lutto, il popolo d’Israele, lo pianse per trenta giorni.

Terminati i giorni tristi vennero chiamati in assemblea tutti i Sacerdoti del Tempio, gli Scribi, gli Anziani, e di altri scelti fra il popolo perché tutti assieme dovevano eleggere un nuovo Sommo Sacerdote, secondo l’usanza.

La scelta di tutto il popolo riunito nel Tempio cadde su Zaccaria, figlio di Barachia. Su di lui, come segno di fratellanza, di benedizione e di obbedienza, tutti imposero le mani e così lui divenne ministro del Santuario con la speranza che la sua missione fosse illuminata dall’Altissimo.

Intanto gli anni passavano fra mille e mille avvenimenti. Maria cresceva in età, in bellezza e in purezza, finché giunse il tempo nel quale ella compì dodici anni. Era consuetudine delle famiglie di Israele, appartenenti alla tribù di Giuda e alla discendenza di Davide, di affidare l’educazione  delle loro figlie al Tempio affinché venissero istruite, custodite in santità e giustizia prima di giungere al matrimonio.

Maria deve andare in sposa.

Ma prima del tempo stabilito dalla tradizione, per Maria, successe un fatto inconsueto: Il sacerdote Abiathar offrì ai pontefici innumerevoli doni per poter dare la fanciulla in moglie a suo figlio.

Questa richiesta, del tutto inconsueta, suscitò un grande clamore fra gli Scribi e i Sacerdoti che, d’accordo con i Sommi Sacerdoti, decisero di chiedere a Maria il suo pensiero. Anche questo fatto rappresentava un precedente a cui la nazione di Israele non aveva mai fatto ricorso.

Tutto questo perché la fanciulla incuteva rispetto e ammirazione fra tutto il popolo e i Sacerdoti. Tutti avevano timore di incorrere nell’ira di Dio se avessero esercitato su di lei indebite pressioni o l’avessero sottoposta a vessazioni o coercizioni.

Maria ad ogni modo si opponeva alla richiesta di matrimonio avanzata dal sacerdote Abiathar, adducendo che questo non era il disegno del Signore. Ma l’opinione dei pontefici e di tutti i suoi parenti era molto diversa dalla sua e per questo le dicevano: “Dio si onora con i figli e si adora con i discendenti, come è sempre stato in Israele”.

Affermavano con insistenza quanto fosse conveniente per Maria questo matrimonio, data la posizione sociale della famiglia dello sposo. Maria allora disse a loro: “Se questo è il vostro pensiero voi non conoscete le vie del Signore. Dio si onora prima di tutto con la purezza del cuore; ed io non voglio disonorare il suo nome”.

Nelle parole di Maria nessuno rilevò eresia. Ciò che la fanciulla aveva detto convinse tutto il popolo e i sacerdoti riuniti nel Tempio che quella era anche la volontà di Dio, e così si mise fine al dibattito.

I sacerdoti decidono il futuro di Maria.

Quando Maria giunse all’età di quattordici anni si giunse ad un giorno decisivo per il suo avvenire. Nel Tempio del Signore i sacerdoti e i farisei si riunirono per definire questa questione una volta per tutte e tennero consiglio.

Infatti, esisteva già da tempo immemorabile la tradizione che una fanciulla, nel passaggio dall’adolescenza a donna, non potesse più dimorare nel Tempio del Signore e dissero: “Oggi siamo riuniti per prendere una decisione riguardo alla fanciulla Maria. Che faremo ora di lei? Non può più rimanere nel Tempio del Signore perché non abbia a contaminarlo!”.

In molti ricordavano il rifiuto di Maria alla richiesta di matrimonio avanzata per il figlio dal sacerdote Abiathar e non avendo soluzioni alternative dissero al Sommo Sacerdote: “Tu che sei prescelto per celebrare i riti all’altare del Signore, entra nel Santo dei Santi, e prega per lei.

Chiedi al Signore di indicarti i suoi disegni riguardo alla fanciulla e ciò che Lui ti indicherà, riguardo al suo futuro, noi lo faremo. Amen”.

Alle parole del Consiglio dei Sacerdoti, degli Anziani e degli Scribi, il Sommo Sacerdote, Zaccaria, indossato il mantello dei dodici sonagli, e gli altri paramenti, per officiare quel solenne rito, entrò nel Santo dei Santi, e pregò per Maria invocando la grazia di un segno del Signore.

E il Signore mandò un suo segno. Apparve a Zaccaria un Angelo e questi gli disse quale era la Sua volontà: “Zaccaria, Zaccaria. Chiama a raccolta tutti i vedovi e i non sposati del popolo.

Manda dei messi e dei banditori per tutte le terre delle tribù di Israele, affinché tutti, fra due giorni, si radunino all’interno del Tempio del Signore.

Ordina che portino il proprio bastone. Il Signore farà scendere su uno di loro la sua grazia con un segno miracoloso, e di costui Maria diventerà la sposa. Esegui Zaccaria, questa è la volontà del Signore”.

Zaccaria annuncia al popolo il destino di Maria.

Uscì Zaccaria dal Santo dei Santi e annunciò a tutto il popolo la volontà del Signore. Vennero inviati i banditori per tutta la regione della Giudea. Essi chiamarono a raccolta tutti i non sposati. La tromba del Signore risuonò nei villaggi, nelle città dei figli d’Israele, e tutti accorrevano.

E quando il popolo si fu radunato nella spianata davanti al Tempio, il sacerdote Abiathar si alzò dal suo scranno, salì i gradini più alti per poter essere meglio ascoltato dalla folla riunita.

Nella grande piazza si fece un gran silenzio in attesa delle parole del sacerdote: “Figli di Israele, prestate attenzione alle parole che sto per pronunciare. Questo Tempio fu fatto edificare da Salomone.

Da allora, secondo la tradizione, per più di cinquanta generazioni, sono state ospitate in esso, per essere istruite, le figlie di re, di profeti, di sommi sacerdoti, e tutte sono cresciute meritevoli di ammirazione per sapienza e santità.

Poi, giunte alla giusta età, secondo la legge, esse hanno preso marito, così come fecero quelle che le avevano precedute. Nelle loro scelte e nella loro vita sono piaciute a Dio.

Oggi siamo riuniti perché anche per Maria, che si è consacrata al Signore, è giunto il tempo di compiacere il Signore. Chiederemo a Lui, secondo il rituale che abbiamo ereditato dai padri dei nostri padri, un segno per eseguire la sua volontà.

E’ conosciuto da tutti voi ciò che disse Isaia nel suo libro: “Dalla radice di Iesse nascerà una verga dalla quale spunterà  un ramo. Lo spirito del Signore, in veste di colomba si poserà su quella verga: Spirito di intelligenza e di sapienza, di saggezza e di forza. Spirito di scienza e di misericordia, che inonderà i cuori dei suoi figli del timor di Dio”.

Con questa profezia da lui annunciata, ordinò che tutti i discendenti della famiglia di Davide non sposati, quando il Signore li chiamava, portassero i loro bastoni all’altare del Tempio, per poi sottomettersi alla Sua volontà che si sarebbe manifestata con un segno: “Quindi, anche oggi, riguardo a Maria, nel rispetto delle leggi del Signore e delle tradizioni, dalla Sua risposta potremo sapere a chi essa debba essere affidata e andare in sposa”.

Giuseppe chiamato dai sacerdoti.

Anche Giuseppe il falegname, vedovo e con figli, rispose alla chiamata del Signore. Depose gli attrezzi con i quali stava lavorando, uscì dal suo laboratorio per unirsi agli altri chiamati dal Tempio.

Tutti assieme si recarono al cospetto del Sommo Sacerdote, portando, ognuno, il proprio bastone. La tradizione voleva che doveva essere sorteggiata la tribù dalla quale doveva uscire il prescelto.

Fu tirato a sorte dai Sacerdoti. Fra le dodici tribù di Israele la scelta cadde su quella di Giuda. Allora il Sacerdote disse agli uomini della tribù: “Domani, tutti quelli della tribù di Giuda che sono vedovi, o senza moglie, vengano al Tempio portando ognuno il proprio bastone, affinché si faccia la volontà del Signore”.

L’indomani, quando gli uomini prescelti furono riuniti nel Tempio, il sacerdote, prese i loro bastoni ed entrò nel Santuario. Quando ebbe terminato la preghiera, raccolse di nuovo i bastoni, uscì fuori e li restituì ai legittimi proprietari: Ma non apparve su di essi alcun segno.

Rimase un ultimo bastone: quello di Giuseppe. Mentre il Sacerdote glielo consegnava una colomba bianca andò a posarsi sul braccio di Giuseppe fra lo stupore dei presenti e di quello del Sommo Sacerdote.

Maria moglie di Giuseppe.

Il Sacerdote, sorpreso da quel segno improvviso, che non si aspettava, ma tuttavia felice che il Signore avesse manifestato la sua volontà, disse a Giuseppe: “Tu sei stato prescelto dal Signore, Dio nostro, per ricevere la vergine Maria in tua custodia. Accoglila presso di te come futura sposa, poiché essa ti è stata destinata dalla volontà di Dio.

Nel giorno prescritto verrà unita a te in matrimonio, così come ciascuna delle altre vergini, prima di lei, furono date in sposa a dei celibi!”.

Giuseppe, incredulo di tanta sorte, si schernì, dicendo: “Uomini di Israele, io ho già figli e figlie, e sono prossimo alla vecchiaia, mentre essa è ancora una fanciulla! Non chiedetemi di diventare oggetto di derisione davanti ai figli di Israele e non fate che a lei capiti un così triste destino!”.

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